J. Sintoni è uno dei chitarristi blues “tenuti d’occhio” anche negli States, dopo tre album “elettrici”, il quarto, appena uscito, guarda alla tradizione acustica e al folk, anche grazie a un’amicizia eccellente con cui ha avuto una lunga collaborazione.
Nato a Cesena, Emanuele J. Sintoni ha suonato nei più grandi festival blues d’Italia e il suo nuovo lavoro musicale RELIEF (Good Luck Factory-IRD) vede la “Grammy Award Winner” Trina Shoemaker (Queens of the Stone Age, Sheryl Crow) dietro la mixing console, dando vita a quattordici intensi brani in cui le dita magiche di Sintoni sono protagoniste, assieme alla sua voce graffiante e ispirata.
Quattro tour assieme al cantautore americano Grayson Capps (sua la colonna sonora del film Una canzone per Bobby Long interpretato da John Travolta e Scarlett Johansson) hanno portato Sintoni a staccarsi dalle sonorità rock blues degli album precedenti per intraprendere un nuovo viaggio.
Come è nato questo progetto musicale?
Da chitarrista ho sempre preso la chitarra in mano e suonato quel che sentivo, di getto e senza troppi pensieri o costruzioni.
L’ho fatto per tanti anni con la chitarra elettrica e ho registrato due album con soli brani originali in cui tutto il lavoro era incentrato sulle sonorità del power trio; poi tre anni fa ho iniziato a scrivere nuove canzoni con la chitarra acustica e gradualmente ho abbandonato il progetto elettrico e iniziato a pensare ad un nuovo disco di originali in una veste più minimale.
E’ stato un passaggio naturale, forse non l’ho nemmeno scelto io.
Quanto ha influito l’incontro con Grayson Capps per questo tuo nuovo lavoro?
Sicuramente molto. Lui è uno dei miei cantautori preferiti, e lo è indipendentemente dal rapporto che c’è tra noi, e suonare insieme mi ha fatto avvicinare di più a certe sonorità e capire che migliorare come autore era il passo successivo da fare.
Non ho la capacità di impormi di fare certe scelte quindi non ho deciso di far un disco come “Relief” per tentare una strada diversa sperando in un maggior riscontro ma perché era l’unico modo per dire cosa sono e faccio oggi come musicista.
Canzoni legate ad attimi. sonorità da lungo viaggio… Dove hai preso l’ispirazione?
Quello che evocano le canzoni sono sensazioni personali e ogni volta mi rendo conto che ognuno nelle mie ci sente richiami o ne riceve sensazioni di cui io non mi ero accorto; ed è sempre interessante conoscere aspetti delle proprie canzoni che non si erano notati prima.
Chi scrive spesso lavora moltissime ore sullo stesso brano e finisce per averne una visione inflazionata dal tempo passato a registrare, correggere, ascoltare i missaggi; chi ascolta invece senza queste interferenze ha un ascolto senza filtri che è spesso più veritiero dell’ascolto del musicista.
Per questo il giudizio di chi compra la mia musica o viene ai concerti conta moltissimo.
La tua produzione è legata alla musica americana. Mai pensato di rivolgerti ai suoni della nostra cultura italiana?
Ho sempre ascoltato musica americana, anche prima di iniziare a scegliermela da solo, perché in casa mio nonno ascoltava continuamente i suoi dischi di jazz e sicuramente quelle sonorità mi si sono piantate in testa molto prima di imbracciare una chitarra.
Considerando che l’unico modo di fare musica per me è farla in modo libero e onesto, con se stessi e col pubblico, non potrei mai cimentarmi con sonorità, generi o stili che non mi appartengono e non sento miei.
La mia condanna è, parafrasando Duke Ellington, il non essere a mio agio con tutto ciò che non ha un po’ di swing ed è per questo che di italiani riesco ad ascoltare solo Buscaglione, Conte, Arigliano e pochi altri.
Sei stato in tournée a lungo con Grayson Capps. Quali sono stati gli incontri, i momenti particolari, i ricordi particolari che hai tenuto con te?
Se dovessi scegliere un ricordo direi che quello del concerto nelle chiesa di Sant’Anna alle Surie rimane uno dei più belli; una chiesa nelle Langhe che ospita la musica di un cantautore dell’Alabama è un evento assai raro ma il binomio si è rivelato perfetto e quella serata è rimasta nella memoria di tutti i presenti senza ombra di dubbio.
Credo si siano verificati anche due miracoli, il primo che il pulpito sul quale Grayson è salito a cantare non sia caduto e il secondo che il parroco si sia complimentato sinceramente con noi per aver portato quelle canzoni in un luogo sacro.
Nel nuovo album la canzone “The miracle” parla anche di questo.