Francesco Randazzo è scrittore, drammaturgo e regista. Laureato in Regia, all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, ha fondato la Compagnia degli Ostinati – Officina Teatro, della quale è stato direttore artistico.
Un curriculum di tutto rispetto in ambito artistico, lo vede protagonista in importanti teatri e festival italiani e stranieri a cui affianca l’attività di docente in recitazione, regia e drammaturgia.
Di questi giorni la pubblicazione di un romanzo storico “I duellanti di Algeri” (Graphofeel), in cui vengono narrati, tra realtà e finzione, le avventure di due personaggi celebri, Miguel de Cervantes Saavedra, “padre” di Don Chisciotte e il poeta siciliano Antonio Veneziano. Entrambi fatti prigionieri da pirati africani, si ritrovarono realmente a condividere una cella ad Algeri.
Come è nata l’idea del libro?
Molti anni fa, ai tempi dei miei studi universitari, lessi “La corda pazza” di Sciascia, in cui un capitolo è dedicato ad Antonio Veneziano, un personaggio bizzarro, avventuriero, guascone, iracondo, e scoprii dopo, leggendo i suoi sonetti, raffinatissimo poeta in lingua siciliana.
C’era anche un accenno al possibile incontro con Cervantes, in un periodo di tempo in cui, tutt’e due erano prigionieri ad Algeri. M’incuriosì moltissimo e dal seme di quella curiosità, covata e alimentata per lungo tempo, è nato il libro.
Quanto si sa storicamente di quella “prigionia d’artisti” e quanto è frutto della tua immaginazione?
Pochissime sono le tracce. Giusto la sovrapposizione delle date di prigionia, ma non si sa nient’altro. C’è qualche accenno in un’opera di Cervantes “El trato de Argel”, lettere reciproche, qualche verso dedicato di rispetto, ma nulla di più specifico che ci dica veramente se e come si siano incontrati ad Algeri.
Qualcuno ipotizza si siano incontrati prima in Sicilia. Io naturalmente ho preferito pensare che l’amicizia sia nata mentre erano prigionieri, mettere insieme nella stessa cella quei due campioni d’umanità e arte, mi sembrava una straordinaria opportunità narrativa.
Tu sei regista e autore teatrale. Hai attinto alla tua esperienza per scrivere I duellanti di Algeri?
Certamente. Scrivere in fondo è allestire un gran teatro della mente, leggere è entrare dentro mondi e storie senza nessuna altra mediazione che quella delle parole e la loro forza creatrice d’immaginario.
Quando scrivo, è come se vedessi tutto quel che accade, sentissi tutto quel che viene detto, spettatore e creatore insieme. Di fatto, passo molto tempo in questo stato immaginativo, a volte anni, poi all’improvviso scrivo, in tempi molto più brevi, tutto quel che ho visto e ascoltato in quello spazio tempo fantasmatico.
Con “I duellanti di Algeri” è stato un gran teatro di fantasia che mi si è rappresentato davanti e che ad un certo punto ho raccontato.
Regista, scrittore, autore, fotografo. Che progetti per il prossimo futuro?
Tanti, come sempre, è un periodo piuttosto fertile e stimolante. Nell’immediato alcuni progetti teatrali e le presentazioni del libro che mi auguro faccia un bel viaggio tra i lettori. Nel frattempo, ne sto scrivendo un altro.
Mi piacerebbe anche fare una cosa strana, che non c’entra niente con tutto quel che ho fatto, forse è un bisogno di libertà anarchica, gratuita; insomma è da un po’ che mi piacerebbe fare un giro d’Europa suonando per strada come un povero, un po’ matto e felice. Chissà se lo farò mai, o magari me lo immaginerò così tanto che poi lo scriverò e sarà come se l’avessi fatto davvero.