Nulla è più divino dell’Inferno, a giudicare dal close up che artisti, poeti e letterati hanno rubato alla Commedia di Dante Alighieri, come originariamente voleva si chiamasse La Divina Commedia, il suo legittimo autore. E dunque la mostra, alle Scuderie del Quirinale dal 15 ottobre al 9 gennaio 2022, tenta, con un repertorio artistico eclettico, un recupero delle dimensioni culturali, oniriche e religiose dell’Inferno, basandolo sul suo “cantore” più evocativo.

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Dalla Porta dell’Inferno, monumentale scultura di Rodin entriamo in un labirinto di opere pittoriche e scultoree, manoscritti, miniature che celebrano il Bene attraverso il Male e il Male che inesorabilmente porta il conformarsi al Bene.

Il viaggio sembra suggerirci che il Paradiso non è di questo mondo ma che se proprio lo vogliamo possiamo costruirlo solo a partire dalla conoscenza del suo sulfureo antagonista.

Il percorso è fantasmagorico e solenne insieme, nell’accostare il Giudizio universale di un cattedratico Beato Angelico alle illustrazioni di un artista radicale come Miquel Barcelò che affida al deciso cromatismo iberico, la sua visione della Divina Commedia.

Il tutto a testimoniare come il mito di Dante abbia attraversato secoli, culture, confini geografici e codici espressivi imponendo topoi ben precisi agli artisti, che li hanno riletti con canoni sempre nuovi. La Divina Commedia è un patrimonio immaginifico inestimabile e, grazie a Dante, possiamo scorgere l’ultraterreno con lo sguardo scientifico e rinascimentale di Sandro Botticelli, attraverso gli occhi atterriti e fendenti del Lucifero di Franz Von Stuck, nei meandri lussuriosi e conturbanti di Victor Prouvé o con le pennellate parigine di Cezanne.

Indiscusso attore “non protagonista”, il sommo poeta appare nelle opere di questi e molti altri artisti, esposte alle Scuderie, come uno spettatore: da figura aulica e solenne, infatti, la mutata sensibilità barocca e romantica, ne restituisce il lato autentico di osservatore empatico delle debolezze umane.

La mostra mette in luce una ricerca espressiva che tende a dare risalto e luminosità alle anime perse, umanizzando i peccatori, molto vivida nelle raffigurazioni del canto V Paolo e Francesca: i due amanti le cui anime sono trascinate in una danza infernale quanto struggente, assumono ora canoni di un equilibrio formale quasi neoclassico, nel dipinto di Ary Scheffer, ora toni esasperati e dolenti nel caravaggesco Henri Martin.

Culmine di questa moderna visione convulsa e teatrale è il dipinto che fa da sfondo alla sala, di Gustave Dorè, Virgilio e Dante nel IX girone dell’Inferno, dove, tra le atmosfere rarefatte il tormento delle anime diventa quasi sensibile.

Come un ripescaggio dell’inconscio, all’alba di un XX secolo che spalanca al mondo i tormenti della psiche umana, Dante e il suo meditare sulle azioni della politica e di uomini pubblici, torna attuale nelle pennellate attonite di chi ha dipinto le devastazioni belliche.

Se non fosse che… “E quindi uscimmo a riveder le stelle…”

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