L’ascetismo del segno, il gesto grafico che narra interiorità, calligrafie introspettive, l’alfabeto che denota l’esistenza. Domenico Romeo è un artista che racchiude nelle sue illustrazioni l’interiorità del suo pensiero, un percorso affascinante e intricato ha condotto questo giovane creativo verso espressioni artistiche particolari e ricercate. Un aspirante avvocato che mette da parte i codici giuridici per ritrovare nuovi codici figurativi. Romeo non ha bisogno di classificazioni, le sue opere urbane non appartengono al fenomeno della street art, il suo impegno creativo risiede nelle molteplici influenze che sin da bambino ha recepito, il linguaggio che utilizza è lo strumento veicolare che dirama il suo personale messaggio. Alla 999 contemporary di Roma presenta in questi giorni la mostra intitolata Clausura laddove è possibile entrare in contatto con il mondo interiore dell’artista. La clausura diviene un privilegio, la condizione necessaria per riflettere sulla contemporaneità e sulle dinamiche che descrivono il mondo esterno.
Ho incontrato Domenico qualche giorno fa, le sue parole mi hanno fatto comprendere cosa si cela dietro il percorso di un creativo intenso ed originale.
La prima impressione che ho avuto qualche giorno fa quando ho visto per la prima volta i tuoi lavori è di essermi trovati dinnanzi ad un miniatore persiano, è difficile classificare le tue opere e mi sono chiesta se in qualche modo puoi definirle..
In realtà non so come classificare il mio lavoro, evito ogni sorta di definizione anche per non rimanere intrappolato in uno schema. Sicuramente non posso definirmi uno street artist, le mie opere non appartengono alla pura calligrafia né tantomeno alla pura illustrazione. Io cerco di raccogliere una serie di elementi eterogenei, li metto insieme e compongo qualcosa di nuovo, questa credo sia la vera sfida di ogni artista. Se quello che faccio è inclassificabile forse ho raggiunto il mio scopo. Con Stefano Antonelli e Simone Pallotta abbiamo tentato di coniugare un sostantivo per definire la mia arte, è venuto fuori il termine “Callifigurativo”. Questa mostra, però, parte da un altro stile, ho presentato un alfabeto con il quale scrivo delle frasi rivolte a me stesso.
È evidente che nel tuo lavoro ci sono molteplici fonti d’ispirazione, quali espressioni artistiche hanno influenzato il tuo percorso?
Le mie fonti d’ispirazioni sono diverse, guardo a 360 gradi e mi rivolgo molto al passato immergendomi comunque nella contemporaneità perché mi ritengo figlio dei nostri giorni. Ovviamente l’arte araba e islamica è molto presente ma non è la sola componente che mi caratterizza.
Quando operi in strada quali processi creativi si innescano? Non ti definisci uno street artist e trovo che sia interessante capire il tuo impegno nel contesto urbano…
L’esigenza di sottolineare il fatto che io non mi ritenga uno street artist è correlata a diverse motivazioni personali.
In prima istanza io non ho cominciato il mio percorso artistico in strada, non ho passato tutta la fase d’illegalità che credo sia una caratteristica peculiare di questa categoria. Il mio lavoro è molto riflessivo, ha a che fare con l’interiorità, con il parlare di me stesso. Disegnare in strada illegalmente di notte non rispecchia il mio modo di lavorare.
I miei interventi urbani sono frutto di una sfida, amo le grandi superfici e per me è interessante confrontarmi con questo tipo di approccio espressivo.
Dietro i miei lavori si percepisce una progettazione, non riuscirei ad operare in strada senza una sorta di disegno preparatorio che costituisce l’incipit fondamentale di ogni mia opera.
Domenico come è iniziato il tuo percorso, ho letto che è stato un sentiero piuttosto intricato, sicuramente non usuale…
Sin da piccolo sono stato attratto dalle arti visive ma i miei studi mi hanno portato verso un percorso completamente diverso. Durante l’infanzia amavo disegnare ma non andai a fondo di questa passione, ho frequentato il liceo scientifico e poi mi iscrissi a giurisprudenza, so che è strano ma mi affascinava il mondo dell’avvocatura. Dopo tre anni di giurisprudenza ho cominciato a capire che inseguire la mia prima passione era la strada giusta da intraprendere. Ho scoperto lo IED e fui selezionato come borsista iniziando così il mio impegno artistico. Parallelamente è cominciato anche il mio lavoro di illustratore, alla calligrafia, invece, sono arrivato grazie a mio padre e al suo lavoro di archivio all’interno delle istituzioni ecclesiastiche della mia regione. Sono stato sempre affascinato dai testi antichi.
C’è una sapienza nel tuo gesto calligrafico che ti caratterizza e che definisce la tua cifra stilistica. Parlando della mostra Clausura sono andata a cercare sul vocabolario le diverse accezioni di questo termine. La clausura riguarda sia il divieto ai laici di entrare nelle case religiose sia la definizione di ambiente solitario e appartato. Questa condizione di isolamento cosa descrive?
È un ambiente dell’interiorità, una stanza che si trova dentro di me dove vado a chiudermi quando realizzo un’opera. La mia ricerca d’isolamento è una componente imprescindibile del mio lavoro. Il termine clausura richiama anche la parola chiusura laddove la mia interiorità è un qualcosa difficile da leggere e da scoprire.
Domenico ti senti investito nel tuo lavoro di una responsabilità sociale? Come ti rapporti nei confronti del mondo che ti circonda?
Cerco quasi di estraniarmi dalla società ma mi rendo conto che ne sono parte integrante. Clausura vuole essere un invito alla riflessione. Non faccio critica sociale ma cerco di trasmettere il mio messaggio perché penso che c’è sempre meno tempo da dedicare alla riflessione e al pensiero. Per me il ruolo dell’artista risiede nel provocare un dubbio alle persone. La street art, nello specifico, credo debba farsi carico di parlare alla gente, di portare un messaggio fruibile a tutti.
Come sta evolvendo il fenomeno della street art in questi ultimi anni?
L’arte urbana è nata in seno all’illegalità come atto di protesta e ribaltamento verso le logiche del mercato globale. In questo momento storico credo che ci stiamo avviando verso una compartecipazione dove l’artista si sta mettendo in gioco anche nelle sedi istituzionali, questo potrebbe essere un compromesso che non necessariamente scredita il fenomeno ma che porta avanti un discorso complementare.
Tu come recepisci questa situazione?
Penso che oggi la street art deve farsi carico di concetti veri. Devono subentrare forti idee da esprimere perché credo fermamente in questo fenomeno, soprattutto nella sua componente italiana che sta avendo grandi riconoscimenti internazionali. L’arte è una cosa seria e la mia critica parte verso certe forme espressive che non rispettano i giusti canoni di qualità. Ho cercato di distanziarmi da certi fenomeni nati all’interno della street art perché ho sempre pensato che rappresentino delle scorciatoie per arrivare in modo semplice alle logiche di mercato. La street art è una vetrina e sinceramente sono pochi gli artisti che personalmente apprezzo.
Bisogna discernere dalle generalizzazioni e capire cosa sia davvero arte. Il mio non vuole essere un discorso elitario ma quando opero in strada non improvviso, il mio lavoro è il frutto di una progettazione perché quello che voglio trasmettere sono i concetti che esprimo, l’ unico e solo fondamento della mia espressione creativa.
Per approfondire il lavoro di Domenico Romeo: http://domenicoromeo.tumblr.com/
INFORMAZIONI TECNICHE
CLAUSURA
ROMEO SOLO SHOW
999 contemporary – via Alessandro Volta 48, Roma
Fino al 30 maggio
Info: www.999gallery.com