È ricominciata ieri sera al Verdi di Trieste la stagione che era stata bruscamente interrotta dalle ultime chiusure.
Per inaugurare questo momento la scelta è ricaduta su una Traviata che ha il sapore di una festa.
Come da oltre centocinquanta anni e migliaia di repliche, la prima scena si apre sul brindisi di Violetta.
Eppure questa volta c’è qualcosa di diverso. Per cominciare, i nostri occhi ormai disabituati alle folle, sono subito disorientati dalla massa del coro. Anche l’intonazione dell’inno di Mameli, che come di consueto ha inaugurato l’inizio di una nuova stagione, porta con sé un’emozione diversa.
Dopo tanta attesa e diverse false ripartenze, c’è voglia di tornare sul serio. Stefano Pace, nel suo ultimo atto da Sovraintendente della Fondazione Verdi, intercetta questo desiderio ripartendo da una delle opere più messe in scena e amate.
C’è un certo senso di conforto nel tornare alla lirica dal vivo per la prima volta dopo tanto tempo ascoltando arie che ci sono così familiari. È un dolce e nostalgico momento risentire di nuovo le note di Libiamo né lieti calici direttamente dalle bocche dei cantanti, invece che attraverso un paio di auricolari.
Ma è un ritorno al familiare tanto per il pubblico, quanto per il teatro stesso. Il Teatro Verdi infatti porta in scena quest’opera per la trentaduesima volta – ed un totale di duecentoventiquattro rappresentazioni.
Questa versione in particolare, firmata da Mariano Bauduin per la tournée in Giappone del 2018, mette in scena un ricco assortimento costumi, come anche un’imponente scenografia che abbraccia l’intero palco. Sui muri proiezioni di versi tratti da I fiori del male di Baudelaire aggiungono nuove chiavi di lettura ai momenti di maggior pathos dell’opera.
Sul palco l’importante coro del Verdi e gli interpreti si misurano non solo con le famosissime arie ma anche con l’orchestra, che per rispettare le norme di distanza si è allargata fino in platea. In alcuni momenti gli archi sovrastano le voci dei cantanti, ma la potenza dell’interpretazione della soprana spagnola Ruth Iniesta nel ruolo di Violetta e del tenore italiano Marco Ciaponi in quello di Alfredo non sono da sottovalutare.
Ruth Iniesta, in particolare, riesce ad affrontare la complessità e l’emotiva del ruolo di Violetta con un’impressionante range, regalando una performance evocativa e piena di sfumature. Allo stesso modo, l’esibizione di Marco Ciaponi brilla in particolare dall’inizio del secondo atto, riuscendo a rivaleggiare la collega per potenza e impeto. Ottime anche le interpretazioni dei comprimari, in particolare Angelo Veccia nel ruolo di Giorgio Germont lascia alcune delle impressioni più importanti della serata.
Alla fine, gli applausi sono molti e lunghi. In sala è palpabile la gioia e la soddisfazione. Non solo per questa particolare esibizione, ma per un più ampio desiderio di ritornare alla musica e al teatro. Sentimento per cui La Traviata è stata la scelta più azzeccata.