Ci sono film che ti scivolano addosso, non li avverti neppure se non persino e soltanto per un certo fastidio. Altri invece ti si attaccano addosso, ti entrano dentro costringendoti a riflettere, confrontarti, fare i conti con la tua stessa natura. Esci dalla sala e continui a sentirne il sapore, non vago ma di una persistenza sbalorditiva: è il caso della Palma d’Oro a Cannes, l’ultimo intenso lavoro di Nuri Bilge Ceylan.
“Il regno d’Inverno – Winter Sleep” è l’ultima piccola gemma del regista turco classe 1959 che dopo i premi per la miglior regia sempre a Cannes nel 2008 per “Le tre scimmie” e il bis tre anni dopo con “C’era una volta in Anatolia”, nell’ultima edizione fa bottino pieno.
Le vicende si svolgono nelle rarefatte e in qualche modo magiche atmosfere di un villaggio della Cappadocia. Il Protagonista Aydin, un superbo Haluk Bilginer, è un intellettuale ex “teatrante” come ama essere definito egli stesso, che ora gestisce un piccolo albergo avuto in eredità dal padre insieme a numerose altre abitazioni , scrive per una piccola rivista locale e lavora ad un suo libro: Storia del teatro turco.
Si percepisce sin dall’inizio che sotto la calma apparente del luogo del fuoco arde non sopito. Mentre si trova in macchina col suo faccendiere Hidayet la vettura viene colpita pericolosamente da un sasso scagliato da un bambino.
Scopriremo che a infrangersi sarà molto più di un vetro…
Ho scritto come il protagonista sia Aydin, sebbene a onor del vero va detto che lo sia assieme ad un attore troppo spesso messo in secondo piano: LA PAROLA.
Il film turco ha la potenza e il vigore che riconosciamo nei grandi romanzi russi o alle pellicole di Bergman. Alcuni temi sono stati già toccati in altre opere di Ceylan, ma qui tutto ha un respiro più ampio. La forza del film è tutta in dialoghi che ti aprono in due, costringendoti a riflettere e rivedere costantemente le proprie posizioni.
Su tutti mi conquista quello che mette di fronte Aydin alla sorella Necla (quanto è brava e al contempo sconosciuta Demet Akbag al grande pubblico?) e che toccando i temi della scrittura e ciò che muove chi fa questo di mestiere o aspirerebbe farlo, ti vede dentro.
Mette a nudo il narcisismo che si cela in chi si mette dietro una macchina da scrivere, le ambiguità e la voglia di piacere e compiacere chi ci legge captandone la benevolenza.
Dialoghi sottili come non ne ascoltavo da un po’ al cinema, che ti pervadono senza farti notare la lunghezza del film con sprazzi di acuta ironia. Nell’intellettuale si nasconde uno snobismo e una soglia di autoinganno che lo fa andare avanti senza guardarsi allo specchio.
E’ un uomo complesso Aydin e pieno di contraddizioni. Il carattere solo apparentemente accomodante di un uomo che lascia “il lavoro sporco” a Hidayet. Sintomatico in proposito il rapporto con la famiglia di affittuari caduta in disgrazia in cui spiccano per bravura i due fratelli. Il versatile maestro Hamdi (Serhat Kilic) e il problematico fratello Ismail (Nejat Isler).
Delicato e controverso è pure il rapporto che lega il protagonista alla moglie Nihal. Tra i due la crisi c’è da tempo e aspetta solo di divampare.
A dividerli c’è tutto un mondo intero e l’evidente differente età anagrafica non aiuta di certo.
Il loro è uno scontro di coppia che diventa anche generazionale. Un po’ come quello genitori/figli del nostro tempo in cui i secondi non fanno che accusare i primi senza dimostrare mai gratitudine e voglia di conquistare i propri spazi mettendocela tutta.
“La comodità ti rovina” dirà Aydin a Nihal, e come non dargli torto guardando una generazione che dipende ma che non vuole e non sa lanciarsi…
Al contempo anche Aydin farà i conti con la pretesa di voler possedere le persone come lo si fa con le cose, magari anche a fin di bene. Un uomo onesto e coscienzioso ma che a volte utilizza questo per soffocare gli altri.
“Quando le relazioni terminano il mondo ci appare diverso e il paesaggio cambia natura”, faceva notare il regista in una intervista di un po’ di tempo fa. Qui non a caso arriva la neve e il “Mondo diventa bianco”…
Ancora un bel colpo per Lucky Red che insieme a Parthenos distribuirà il film pronto ad arrivare nelle sale italiane il 9 ottobre.
Il mio è il grido accorato e pieno di speranza di chi ama la settima arte e la letteratura anche se basterebbe solo dire di amare la vita; qui c’è tutto, vi prego, non lo perdete!
Le frasi del film:
“Il nostro destino è di ingannarci comunque. Costruiamo grandi castelli ogni mattina, passiamo il giorno a vederli dissolvere.”
“Tesoro, per trovare una logica nelle decisioni del Comune ce ne vuole…”
“Io di notabile ho solo la pancia e non governo neanche quella.”