Sarà in scena allo Stabile Sloveno di Trieste, fino al 19 gennaio, Il re di Betajnova con la regia di Tomaž Gorkič. Per l’occasione il testo di Ivan Cankar diventa horror.
L’opera è a carattere politico e fa della denuncia sociale il punto nevralgico di tutto.
Scritta nel 1902, Il re di Betajnova, è stata rappresentata a Trieste per la prima volta nel 1908. La storia è quella di una cittadina, Betajnova, sotto elezioni. Proprio le elezioni sono il pretesto per mostrare i lati peggiori dell’animo umano e nello specifico quello dell’amorale Jožef Kantor.
La strada verso il trono è lunga e l’uomo deve percorrerla immerso fino alle ginocchia nel sangue e nelle lacrime
Kantor, arricchitosi con l’usura e lo sfruttamento del proletariato rurale, non pago della ricchezza economica, brama il potere anche in campo politico. Il suo percorso incontrerà le resistenze da parte delle vittime del sistema, ma nonostante la ribellione si basi su giuste rivendicazioni, non è necessariamente destinata al successo.
Come dicevamo all’inizio, la regia viene affidata a Tomaž Gorkič, regista (è il caso di dirlo!) di grido del panorama cinematografico horror sloveno.
Cifra stilistica che diventa il linguaggio con cui questo allestimento va in scena. Sangue, violenza, luci fredde, sottofondo musicale costante con tono di suspence (una traccia musicale di un’ora e mezza, tipo!), trucco e costumi sado-dark, sono gli elementi che rendono visivamente l’opera molto interessante.
Con tutto il limite linguistico che ci portiamo dietro da italiani durante una rappresentazione in lingua slovena, si riesce a cogliere il grande lavoro fatto sugli attori per la resa di quegli animi così fortemente connotati e strutturati.
Apprezzata la chiave horror, sottolineata la bravura degli attori, non si può tacere la staticità del tutto.
Una cosa che ci è sembrata mancare sul palco è stata la dinamicità. Se a questo aggiungiamo il sottofondo musicale continuo e costante, l’effetto noia è più una concretezza che un rischio.