Agatha Christie diceva che”un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”. Io mi sono messo a scandagliare il cast tecnico del nuovo film di Steven Spielberg “Il ponte delle spie“e gli indizi che mi portano a dire che questo sarà uno dei film dell’anno, sono molto più che tre…
Tralasciamo il regista 2 volte premio Oscar, che da solo potrebbe esser già una garanzia e passiamo agli sceneggiatori. Sono in tre ed il primo è uno sceneggiatore col pallino della storia e dei suoi riferimenti preziosi. Matt Charman l’ho scoperto ( piacevolmente) con Suite Francese. E’ lui che leggendo una biografia di Kennedy, tra le pieghe, porta alla luce e soprattutto ai produttori l’affascinante storia dell’avvocato di Brooklyn James B. Donovan. E’ lui che la co-sceneggia insieme ai fratelli Joel ed Ethan Cohen ( 3 Oscar all’attivo), cosa che per quanto mi riguarda m’avrebbe già convinto ad andare al cinema il prossimo 16 dicembre, giorno dell’uscita italiana.
Spielberg è meticoloso e ormai si affida a collaboratori più che collaudati. E’ il caso di Janusz Kaminski alla fotografia, dal 1993 arrivato a quota 15 film insieme a Steven, e due volte premiato con l’Oscar per Schindler’s List e Salvate il Soldato Ryan.
Vale lo stesso per il montatore Michael Kahn 3 volte premio Oscar e lo scenografo Adam Stockhausen, già premiato dall’Academy la scorsa edizione per The Grand Budapest Hotel.
Io di indizi ne ho già contati 5 e ancora non siamo passati al cast artistico. La risposta è già implicita e mi viene un pò da ridere al solo pensare che potrei stravolgere le previsioni dopo aver assistito all’anteprima stampa. La cosa non avviene, state sereni, e “Bridge of Spies – Il ponte delle Spie” finisce di corsa nella mia personale lista dei migliori film dell’anno.
Era quasi destino che il regista prima o poi si occupasse di questa storia poco conosciuta.
Mio padre era andato in Russia durante la Guerra Fredda, dopo la cattura di Francis Gary Powers. Con altri tre colleghi della General Electric stavano facendo la fila per vedere i resti dell’aereo spia U2 che i russi avevano messo in mostra per chi volesse vederli, e che comprendevano anche l’uniforme da volo e il casco di Powers. La fila era molto lunga, ma a un certo punto due militari russi si avvicinarono a lui e ai suoi amici, chiedendo loro i documenti; quando si resero conto che erano americani, li portarono all’inizio della fila, non per agevolarli, ma per indicargli i resti dell’aereo e ripetergli, più volte, con astio: ‘Guardate cosa sta facendo il vostro Paese’!’ Poi restituì i passaporti a tutti e quattro.
Cosa c’entra Gary Powers? C’arriviamo subito.
James Donovan, il protagonista della storia, è un avvocato assicurativo di Brooklyn che si ritrova catapultato nella Guerra Fredda senza che abbia quasi il tempo di realizzarlo. Prima gli verrà chiesto quasi come proforma di occuparsi della difesa di una presunta spia russa ed in seguito la CIA lo recluterà per negoziare il rilascio del pilota americano dell’aereo spia U-2 catturato dai sovietici: il Gary Powers di cui sopra!
Donovan è un perfetto Tom Hanks. Il due volte premio Oscar è puntuale nel portare in scena tutte le sfaccettature che gli sceneggiatori hanno in mente per lui, compresa l’ironia che è l’eredità più evidente del lavoro dei Cohen, sul suo personaggio e sulla trama in generale.
Pieno di fascino il lavoro che Mark Rylence compie per indossare la maschera del suo Rudolf Abel, la spia russa che si aprirà, per quanto gli è possibile, al suo avvocato. Su tutti spiccano le loro interpretazioni ma è il lavoro corale che ammalia e rende avvincente una storia intrigante e a suo modo divertente.
C’è la suspense di una spy story, la lotta per i diritti inalienabili dell’uomo. Si pone l’accento sulle falle dei sistemi nostri”democratici” e sull’acume di un “uomo tutto d’un pezzo” ( ne esistono ancora?). Il secondo virgolettato lo capirete solo dopo aver visto il film… perché una cosa è certa: il film non lo dovete perdere!
Ultima postilla per la scena che riassume il senso del film, lo chiude eppure lo lascia aperto. Il rientro in treno verso casa dell’avvocato, il suo sguardo che si perde nei backyard di alcuni complessi edilizi a New York. I ragazzi che giocano a rincorrersi scavalcando le recinzioni lo riportano ad una scena vissuta pochi giorni prima sotto una Berlino innovata e per nulla romantica.
Rimandano alla nostra mente le carovane di profughi in cammino lungo le frontiere tra stati, alcune delle quali tirate su in fretta e in furia. Ce n’è ancora di strada da fare.
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