In occasione del 30esimo anniversario dalla pubblicazione del primo album – Bouquet of vegetables (1989), i tre tipi strani che amano farsi chiamare The Tiger Lillies hanno deciso di portare il loro dark cabaret anche a Trieste, al Teatro Miela.
Chi prima del 10 novembre non li aveva mai ascoltati dal vivo sarà rimasto sorpreso da una performance in cui una profonda cognizione di generi musicali come il blues, il jazz e il gypsy jazz è andata di pari passo con un’anima cabarettistica intrisa di umor nero e popolata da soggetti disagiati.
Ci si ritrova davanti ad un trio allucinante e surreale che conquista il suo pubblico con trucco e costume ancor prima di iniziare a suonare. Osservando l’abbigliamento del contrabbassista (e suonatore di sega musicale) ci si domanda “Come mai mi piace così tanto quel trucco da mimo? Dove avrà trovato quella camicia con i mini teschi?”
Personalmente io riesco ad immaginarmeli tutti e tre a rovistare nelle bancarelle vintage di Camden in cerca di qualche vecchia giacca scolorita o di un panciotto. Ma è quando i Tiger Lillies iniziano a suonare che si finisce insieme a loro in un mondo brechtiano popolato da criminali, drogati e prostitute, che diventano oggetto di un umorismo nerissimo: Heroin per esempio racconta la storia di una dipendenza dall’eroina che, una volta raggiunto il suo culmine tragico, viene commentata con indifferenza dal cantante Martyn Jacques che risponde al suo personaggio: “Beh, non avresti dovuto cominciare”.
Altrettanto losco è stato il momento durante il ritornello di Drugs (che consiste nel ripetere quattro o cinque volte la parola “drugs”) in cui il contrabbassista ha urlato verso il pubblico “solo i bambini”. Più che ridere i Tiger Lillies fanno sogghignare e di certo la voce in falsetto di Matyn Jacques contribuisce a ciò. Ogni dettaglio della performance di questo gruppo londinese sembra avere come obiettivo quello di provocare negli spettatori una reazione di straniamento: persino gli strumenti musicali paiono raccolti dalla strada e se Martyn Jacques strimpella la parte finale del manico di una chitarra, Adrian Stout passa dal suonare uno strano contrabbasso ad una sega musicale.
Assistere ad un concerto di questo trio bizzarro significa calarsi in una realtà spaventosa e ritrovarsi quasi senza accorgersene a dissacrarla
Per questo motivo appena uscita dalla sala sono andata a comprarmi un loro cd (Cold Night in Soho, del 2017) e me lo sono fatta autografare. Ho anche controllato se il loro tour avrebbe compreso altre date in Italia, ma niente quella era l’unica: a meno che non voglia seguirli fino in Russia mi toccherà aspettare il loro prossimo anniversario.