I gioielli di Balanchine tornano al Teatro alla Scala di Milano

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A distanza di due anni è tornato sul palcoscenico del Piermarini, il Teatro alla Scala di Milano, il celebre balletto di George Balanchine “Jewels”.

Il lavoro è semplice ma al contempo complesso, stimolante e piacevole, profondamente tradizionale ma anche assolutamente moderno. Buona parte del piacere di osservare questo balletto deriva dal modo in cui le tre definizioni assumono via via importanza durante le tre performance. Gemme coreografiche e musicali, spesso eseguite da sole, Balanchine fu ispirato dall’arte del disegnatore di gioielli Claude Arpels e scelse una musica che rivelasse l’essenza di ciascun gioiello.

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Ogni sezione di Jewels è differente per musica, colore e atmosfera. Emeralds richiama le danze ottocentesche del romanticismo francese. Rubies, frizzante e spiritoso, incarna appieno la collaborazione fra Stravinskij e Balanchine. Diamonds rievoca l’ordine e la grandeur della Russia Imperiale e del Teatro Mariinskij, dove Balanchine crebbe artisticamente. Il romanticismo rococò di “Smeraldi”, la modernità di “Rubini” e la regalità di “Diamonds” unitamente ci mostrano la gamma di stili nata dal genio di Balanchine con l’apporto, per questo allestimento, delle sfavillanti scenografie di Peter Harvey, i costumi riccamente decorati di Karinska e la sapiente direzione musicale di sir David Coleman.

“Smeraldi” ripreso da Elyse Borne su musiche di Fauré da “Pellèas e Mèlisande”, si basa su tradizioni del balletto tra radure boschive e silfidi evasive, poeti e amanti sospirosi, sottolineata dal giardino ricco di decorazioni in un tripudio di gemme. “Smeraldi” è un balletto difficile, il ritmo è lento, l’intimità degli incontri dev’essere proiettato su larga scala, e vi è una graduale partecipazione dei ballerini. La coreografia è poesia pura con le buone prestazioni di Vittoria Valerio-Antonino Sutera e Virna Toppi-Mick Zeni nei ruoli principali con il primo ballerino calato ottimamente nella parte Claudio Coviello.

Vittoria Valerio al suo debutto nel ruolo (ha sostituito Natalia Osipova infortunata), ha conservato una buona sensibilità portando un valore aggiunto per le belle fioriture delle braccia e del corpo nella loro improvvisa chiarezza ed enfasi, ha forse ancora bisogno di maturazione interiore ma è ricca di passi buoni, raggiante di bellezza e nobiltà. I suoi partner Sutera e Zeni trasmettono vigoria e vitalità. Virna Toppi regala la giusta dinamicità. I danzatori del Corpo di ballo della Scala hanno proiettato un senso del dramma, mostrando la loro fluidità e buone linee.

“Rubini” ripreso da Patricia Neary è un successo subito annunciato, dal momento in cui si alza il sipario sui ballerini nei loro costumi rosso vivo, in piedi sulle punte in un semicerchio come pietre di una collana riccamente sottolineati da una ritmica vibrante del Capriccio di Strawinskij. Vittoria Valerio ha offerto un’esauriente performance, buon lavoro di gambe con affascinanti arabeschi. Ivan Vassiliev, è risultato molto meno incisivo di quanto avrebbe potuto essere, Vittoria Valerio ha mostrato una dolcezza vincente accanto alla sua certezza tecnica. Marta Romagna ha convinto per la leggerezza spiritosa, bianca come un bozzolo di seta.

La sezione finale, “Diamonds”, ripreso da Maria Calegari è un vero gioiello di classe ed eleganza, un omaggio di Balanchine alla grazia sulla Sinfonia numero 3 di Ciaikowskji. Una coreografia con l’architettura perfetta del corpo di ballo e solisti, il loro fasto imperiale e la purezza classica. Il centrale pas de deux è una miscela tra il tragico e la magnificenza. Sia Polina Semionova sia Friedemann Vogel erano meravigliosamente lirici ed espansivi nel ruolo, un’interpretazione con particolare distinzione, hanno brillato per grazia ed equilibrio. La Semionova ha mostrato virtuosistiche linee e lirismo con un’intensità mirata e un’interiorità particolarmente commovente. La coppia è apparsa regale e ha incarnato contemporaneamente l’idea del balletto del 19° secolo e la sua presentazione contemporanea.

 

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