I demoni del Paese delle Meraviglie aprono il Teatro Millelire

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 di Giulia Paciotti

 

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L’11 settembre per il teatro Millelire è solo l’inizio. Ad aprire la stagione I demoni del paese delle meraviglie, scritto e diretto da Daniel De Rossi. Il nuovo spazio teatrale, inaugurato a giugno, ha il patrocinio del XVII Municipio(zona Prati): tre sale climatizzate, foyer, caffetteria e sala teatro (90 posti modulabili). In programma ventitrè spettacoli all’avanguardia coi tempi, con autori contemporanei provenienti da tutta Italia.

Quella di De Rossi (miglior spettacolo al Memore Future Award) è una rilettura dell’immortale favola di Lewis Carroll, in scena fino al 16 settembre. Lo spettacolo rispecchia il messaggio che l’apertura di un nuovo teatro vuole dare: il bisogno di contatto nella comunità sociale, bisogno di realtà, di verità, di persone vere, e la capacità di distinguere ciò in cui si crede da ciò che non c’è. Gli attori (Jessica Zanella, giovane attrice padovana, e lo stesso De Rossi) interpretano Alice e il demone, un personaggio ambiguo che prenderà forma nello svilupparsi della storia.

Sulle note di un pianoforte che suona nel buio, una bambina gioca da sola. Una sonora risata si intromette in quest’atmosfera, la luce colpisce un personaggio che sembra seduto lì da un bel po’, non lontano da lei, eppure apparentemente distante. D’un tratto tutto si ferma. La prima parola, che si ripeterà nel corso dello spettacolo è “illusione”. Una scena con pochi elementi, l’essenziale: i due attori, una sedia e una porta invisibile per entrare ma da cui non è possibile uscire. Senza palco nè sipario, come un grande schermo in cui attori e spettatori possono toccarsi allungando la mano.

Dialoghi, monologhi, movimenti dinamici e statici, tra luci, ombre e penombre che confondono e intrecciano i due personaggi in una visione surreale.

L’identità è qualcosa che si perde e si ricerca continuamente in un ritmo che oscilla tra ripetizione e ossessività, per giungere al senso di malessere di Carroll e Alice, demoni di loro stessi. Emblematici i giochi di parole di Alice nel momento in cui chiede allo stregatto che strada prendere: “Persa, perdente, perdutamente, perdizione…”. Il terzo protagonista, l’unico ad assistere passivamente al dramma è Teddy, l’orsacchiotto che resta seduto impassibile e immobile al centro della scena. De Rossi lo descrive come “un catalizzatore e al tempo stesso la cosa che più ci spaventa: il silenzio, il non sapere se siamo ascoltati o meno, se le nostre paure e le nostre perplessità sono condivise o se siamo soli”. Espressioni vive, sognanti oppure stralunate di una bambina che non crede più alle favole, che bambina non è o non è mai stata, privata di un’innocenza ormai contraffatta. Il paese delle meraviglie è un posto per giocare o per fuggire dal mostro che l’ha creato?

La storia descrive il rapporto tra Carrol e Alice, Alice e il Demone, Alice e il Gatto, e come spiega De Rossi: “tra Arte e Eros. Carroll era un fotografo, un letterato, un uomo d’arte. Il dubbio sulle modalità con cui esercitava queste sue passioni è sicuramente intrigante e spaventoso”. Un incontro e uno scontro tra passato e presente, realtà e fantasia, prigione e innocenza. Protagonista è quindi forse un demone o forse l’autore stesso, intrappolato e condannato a vivere nell’illusione da lui creata, il paese delle meraviglie, per sfuggire ad un’epoca vittoriana dove la curiosità è considerata immorale e mortale. Si rifugia in questo luogo fantastico e immaginario dove le bambine come Alice sono fate a cui si sente legato da un amore platonico. Il paese delle meraviglie diventa prigione, esilio, desiderio, rifugio, isolamento e fortezza. Sulla voce della Callas in Mon coeur s’ouvre a ta voix la storia comincia a snodarsi.

Lorenzo De Feo, direttore artistico in collaborazione con Andrea Lupi, accoglie con le sue parole i primi spettatori impazienti di varcare la soglia dell’arte: “Ci siamo sentiti di doverlo aprire, vogliamo farlo diventare un vero e proprio salotto culturale”. C’è sempre posto per un teatro, per la creatività, la passione, l’espressione e la trasmissione, non di canali ma di emozioni. Si partecipa attivamente e si condivide se stessi con parole, sguardi e silenzi.

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