Questo 10 dicembre Vinicio Capossela ha presentato I cerini di Santo Nicola al centro culturale Apollo Undici di Roma.
I cerini di Santo Nicola
I cerini di Santo Nicola vengono accesi e liberamente interpretati per la prima volta in pubblico la notte del 22 dicembre 2017 nelle OGR, le vecchie gigantesche officine di Torino dove si sono riparate anche carrozze ferroviarie, con la complicità di Paolo Rossi e altri fuoriusciti di casa, malaccompagnati da alcuni dei musicisti che hanno preso parte al concerto itinerante “Ombre nell’Inverno” dell’autunno 2017 che ha portato in scena il bidone infiammabile che genera l’ombra del racconto.
I cerini di Santo Nicola, scritto da Vinicio Capossela per l’omonimo radiodramma eseguito la notte di Natale del 2002, prende finalmente corpo per un’unica rappresentazione che coincide con una nuova inedizione a tiratura limitata e numerata (999 copie) del testo, arricchita di una postfazione che la aggiorna alla contemporaneità.
La parte musicale è affidata ad una scarna orchestrina di senza dimora attorno al fuoco del bidone.
Tra le canzoni in programma “In clandestinità”, “Canzone a manovella”, “I pianoforti di Lubecca”, “Non c’è disaccordo nel cielo” e il “Voglio essere come te”, tema tratto dal film “Il libro della giungla”, oltre ad alcune versioni in italiano di classici natalizi come “Campanell’” (“Jingle bells”) e “Santo Nicola è arrivato in città” (“Santa Claus is coming to town”).
Lo sfondo musicale è tratto dal riverbero di vecchie registrazioni. Le voci sono di Vinicio Capossela e dell’unico vero Padre Ubu natalizio, l’attore Paolo Rossi, con inserti di alcuni “fuoridicasa” di loro stretta conoscenza.
Glauco Zuppiroli (contrabbasso, coro muto)
Alessandro “Asso” Stefana (chitarre, coro muto)
RACCONTO INFIAMMABILE PER VOCI, SUONI E CANZONI
La notte di Natale, nei dintorni della stazione monumentale di Milano, insolitamente vuota e coperta di neve, alcuni diseredati gravitanti nella zona, si aggruppano attorno al fuoco di un grosso bidone, uno di loro, il Secco, poco loquace e dal passato più glorioso, trova una scatola di cerini “che scaldano l’anima, inducono al racconto”.
Ognuno degli occasionali accolti darà allora vita ad un racconto; sono racconti animisti, fantastici, ancestrali, la rievocazione di un concerto di Louis Prima, il cantante più natalizio che mai registrò una canzone di Natale, una ciurma nella bottiglia che finisce nel gran festeggiamento marino degli abissi, un cimitero animista di lavatrici e elettrodomestici, dove si trova l¹albero della cupa, la cui luce attira tutti gli animali notturni, l’apparizione di un cane mannaro “il pumminale”, un corteggiamento e gran ballo di vecchi pianoforti scordati, miracolosamente animati, un¹idea del paradiso e l’arrivo finale a mezzanotte e a cerini esauriti di Santo Nicola, italianissimo e autentico progenitore del più “globale” Santa Claus.
Suoi sono i cerini della buona favella, che attizzano la fantasia e donano l’eloquenza, unico dono che si è tenuto da parte il santo, emigrante, solo e malaccompagnato che dopo essersi spiegato, benedice gli astanti e con una grande fiammata li illumina, e, come nelle antiche feste dei folli, rende gli ultimi primi e i primi ultimi, in quella particolare ricchezza che è la parola.
Vinicio Capossela
Lo eleggemmo nella figura di un santo emigrante, ai nostri occhi scalcinato, di nome Nicola, come molti degli emigranti meridionali che ci si erano affidati.
Parente di quel Nicolaus, che fu il primo portatore di doni, e che poi si fece poi rubare il mestiere da Babbo Natale.
Si è fatto portare via tutti i regali volentieri, perché dei desideri di grandi e bambini non si fida: sono infiniti e mutevoli, e anzi ammonisce di fare attenzione a quel che si desidera che poi magari è capace che si avvera.
Si è tenuto da parte un solo dono, dei cerini di legno, una cosa da niente che però compie un grande miracolo: dona la capacità di sapersi parlare, dona la possibilità del racconto e perciò della com-passione, della com-prensione.
La capacità di vedere nelle disgrazie degli altri anche le nostre e dunque assolversi e essere in qualche modo fratelli: tutti disgraziati alla pari.
La pioggia si è fatta neve e non ferisce ma bagna…l’incantesimo del fuoco e del racconto nella stagione dell’inverno, necessario perché, come dice il santo, chi è solo se ne accorge a Natale.
Da allora tante sarebbero le occasioni di raccontare altre solitudini attorno a una stazione che nel frattempo ha acquisito nuovi led digitali luminosi, ma resta che la solitudine più grande è parlare, urlare per le strade senza che nessuno sia disposto ad ascoltare.
Che è poi quello che fanno tutti che per strada o nei nuovi strumenti di comunicazione : molti urlano e pochi si ascoltano.
Perciò il nostro Sante Nicola ha sempre parecchio da fare.
I cerini si sono consumati, è un po’ più invecchiato, non ha una barba bianca e fluente, ma una barba senza fare di una settimana , perché non ha fissa dimora. Sono aumentati gli acciacchi, non è messo bene… Ha cambiato la 127 tagliata a metà e trainata da cani randagi, ma arriva sempre accompagnato da malebestie a ricordarci che, come da bambini, lo spavento è terapeutico, ma la paura somministrata a sistema è strumento di potere.
E che il dono del dialogo, del sapersi parlare è sempre un dono prezioso, che non ha bisogno di vetrine e tredicesime per essere donato.
Così abbiamo deciso di pubblicare questo testo in maniera semi clandestina in occasione dei concerti di “Ombre nell’inverno”, nella speranza che sappia ravvivare con l’eloquio, il fuoco delle parole.
Vinicio Capossela presenterà nuovamente I cerini di Santo Nicola il prossimo 22 dicembre a Torino presso OGR Officine Grandi Riparazioni