Dopo 2 anni dal suo primo arrivo nella Capitale con “Spose celesti dei Mari delle pianure”, torna a Roma, in occasione del Festival Internazionale del Film di Roma, il Marc’Aurelio del Futuro Alexey Fedorchenko con “Angely Revoluciji” (Angeli della Rivoluzione). Accolto tra gli applausi di tutto il pubblico, il film è ispirato a fatti realmente accaduti, muovendosi tra storia contemporanea e teatro d’avanguardia.
Nel pieno dell’opera di statalizzazione dell’ex impero zarista, la Russia ha dichiarato guerra ai simboli religiosi, pagani e non, e a tutte quelle manifestazioni che possano mettere in dubbio la supremazia dello stato sul misticismo e sulle credenze popolari.
Nonostante le minacce e i continui sequestri di massa, non tutte le popolazioni dell’Unione Sovietica furono disposte a sottomettersi senza combattere. Protagonisti del film sono proprio due di queste etnie, gli Ostiachi e i Nenci, che pur di non accettare la nuova ideologia e di non rinunciare ai propri dei distruggono la scuola, l’ospedale ed il teatro costruiti dal regime preferendo, piuttosto, lasciarsi morire nella neve.
Per superare questa resistenza in modo pacifico, viene deciso di inviare una quasi leggendaria commediante russa che, negli anni precedenti, si è dimostrata in grado di far schierare a favore dell’Unione Sovietica politici e regnanti di tutto il mondo usando, se necessario, anche mezzi non molto pacifici.
Polina, questo il nome della funzionaria e detta “la rivoluzionaria”, assieme ad altri 5 “Angeli”, esperti in ogni campo artistico che possa rivelarsi utile ai fini della propaganda sovietica, avrà quindi il compito di convertire i popoli ribelli.
Punto di vista sicuramente interessante per un momento storico ricordato principalmente per il sangue versato dai russi e dalla loro Rivoluzione, Fedorchenko svolge un lavoro mirabile nel rappresentare la forza e la violenza del regime comunista sotto i vestiti degli innocenti “Angeli” che non con le armi ma con l’arte e la cultura scelgono di invadere chi resiste. Quelli che vediamo non sono uomini e donne ma lupi vestiti da agnelli.
Nonostante si prenda i suoi tempi per raccontare la vicenda, è innegabile la bravura del regista nell’uso dei salti temporali, necessari per raccontare il passato dei protagonisti, e nella sua capacità di lasciare letteralmente a bocca aperta il pubblico, specialmente nelle ultime scene, per la poesia e la violenza silenziosa che scorrono e dominano la storia dall’inizio alla fine.