Dal 20 al 23 febbraio va in scena al teatro Rossetti di Trieste Il caso Jekyll, una discesa nelle tortuosità della mente umana

(ATTENZIONE! La seguente recensione comprende anticipazioni del dramma Il caso Jekyll)

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Correva l’anno 1886 quando per la prima volta venne pubblicato Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde di Robert Louis Stevenson. Un romanzo breve, poco più di un centinaio di pagine, eppure che racchiudeva una verità così profonda e potente da risultare quasi terrificante. Lo stimato e pacifico Dr Jekyll, medico dedito allo studio e alla cura del prossimo, è ossessionato dal desiderio di separare il bene dal male nell’essere umano. Infine riesce davvero a scindere la propria parte malvagia dal resto del suo essere, rendendo ognuna autonoma dall’altra, ma con conseguenze disastrose e terrificanti. Il suo “gemello cattivo” prende il nome di Mr Hyde e inizia a dare sfogo alle più turpi perversioni che il dottore aveva represso in sé con tanta violenza e tanto a lungo. Viene dipinto l’uomo nella sua umanità più vera, incredibile e lacerante, le sue tenebre e la sua luce, la sua hybris e la sua bellezza. Sono poche pagine che hanno guadagnato l‘immortalità ai due protagonisti e al loro indissolubile legame fino a farli cristallizzare nel linguaggio di tutti i giorni, a tal punto che anche chi non avesse mai sentito pronunciare il nome di Stevenson saprebbe esattamente cosa si intende parlando di Jekyll e Hyde.

Sergio Rubini: la mente dietro Il caso Jekyll

Fu proprio alla fine del 1800 che nacque e si sviluppò la psicoanalisi grazie anche al monumentale lavoro del suo fondatore, Sigmund Freud. Inconscio, trauma, sogni e nevrosi di ogni tipo non erano più solo fantasmi mandati da una divinità superiore a tormentare i poveri mortali, ma erano fenomeni logici studiabili, manipolabili e risolvibili all’occasione. Stevenson non poté non essere influenzato dalle tendenze del suo tempo. In molti hanno notato una nevrosi ossessiva nel personaggio di Jekyll, fortemente represso, rigido con sé stesso e tormentato da forti tabù al limite della morbosità. Per poi arrivare alle penetranti riflessioni che Jekyll stesso formula su ciò che è naturale e umano, sulle svariate entità che convivono in un solo individuo, e sul grado di dissociazione che una parte può avvertire nei confronti dell’altra. È questo sentiero che Sergio Rubini ha scelto di percorrere in Il caso Jekyll.

Già solo dal titolo capiamo che non c’è nulla di paranormale o “strano” nel protagonista, il quale viene invece trattato come un vero e proprio paziente. Non è infatti un intruglio chimico e quasi magico a trasformare Jekyll in Hyde, ma la sua mente traumatizzata e disturbata. Rubini, nell’adattamento scritto a quattro mani insieme a Carla Cavalluzzi, avvicina il testo a tematiche più moderne come i disturbi mentali e la psicoterapia. In un certo senso, però, sembra quasi riportare la storia al suo nucleo originario e più profondo, ossia il viaggio e la lotta di un uomo nelle tortuosità della propria psiche.

Attore e regista tra i più noti, talentuosi e iconici in Italia, Sergio Rubini vanta una carriera piena e stimolante. Tra fortunati progetti italiani e internazionali, ha lavorato con grandi nomi quali Gabriele Lavia, Giuseppe Tornatore, Mel Gibson e molti altri. La sua natura profonda, intellettuale e sensibile si è unita nel corso della sua carriera ad un lato più ironico e leggero, continuando sempre a esplorare con grande audacia e curiosità tutti gli ambiti dello spettacolo italiano. Arriviamo fino al periodo più recente, in cui ha firmato la regia di due fortunati successi, la miniserie televisiva Leopardi- Il poeta dell’infinito e il dramma teatrale Il caso Jekyll. In quest’ultimo, oltre a essere regista, è anche attore nei panni di Lanyon, psicoterapeuta e amico di Jekyll. Con grande sapienza e rispetto, maneggia il testo di Stevenson orientandolo di più verso il mondo moderno della salute mentale, parlando di inconscio e disturbi, e rappresentando persino una seduta di psicoterapia sul palcoscenico. Da intellettuale illuminato, Rubini suggerisce più volte la necessità di cercare assistenza nella sofferenza, psicologica e non, dimostrando attraverso le trasformazioni di Jekyll quanto possa essere terrificante e ancora più deleterio gestire in solitudine una mente disturbata. “Avresti dovuto curarti” gli dice ad un certo punto un amico, rimarcando l’importanza di chiedere aiuto.

La riscrittura rinfresca quindi il testo, avvicinandolo alla nostra contemporaneità ma custodendo con sapienza la natura immortale e universale dei suoi temi. La regia, poi, è audace e restituisce in maniera dinamica una storia che per troppo tempo è stata rappresentata in maniera troppo timida e artefatta. Trasporre sul palcoscenico un romanzo non è mai semplice e si rischia di arenarsi o snaturare il testo, ma di grande impatto è stata la scelta di inserire un narratore sul palcoscenico che organizzasse i vari episodi in cui era diviso lo spettacolo. Un narratore che gioca con la materia rendendola viva, rompendo la quarta parete, aggirandosi tra i personaggi e persino parlandoci. Tutto rende l’idea di trovarsi in una favola macabra e gotica. E così il pubblico viene accompagnato per mano nelle profondità della mente umana, mentre il profilo psicologico e medico del Dr Jekyll si delinea in maniera sempre più raccapricciante e lucida.

Chi si nasconde in Daniele Russo: Jekyll o Hyde?

Ci si potrebbe domandare cosa prevalga nell’anima di un uomo, se Jekyll o Hyde. Daniele Russo, nel Caso Jekyll, è entrambi in un’interpretazione segnata dallo sforzo fisico ma anche da una profonda riflessione. Con un’incredibile metamorfosi è riuscito non solo a far vivere entrambi attraverso di lui, ma persino a restituire quella raccapricciante sensualità e perversione di Mr Hyde che nel libro viene spesso descritta con un senso di disgusto inesprimibile da chiunque lo incontri. Russo non cede alla tentazione di romanticizzare il personaggio e quando sparisce nel fumo con una risata satanica non è affascinante ma veramente mostruoso, il che è ancora più complesso da restituire. Pur senza le protesi e il trucco nero dei suoi predecessori, tutto in lui cambia quando passa da Jekyll a Hyde. Non solo postura e capelli, ma persino i lineamenti e l’essenza stessa dell’uomo muta in maniera sconvolgente, con uno sforzo fisico e intellettuale degno di lode da parte dell’interprete. E Jekyll non viene interpretato come essere autonomo, staccato dalla sua controparte maligna, ma nell’interpretazione di Russo quando veste i panni del medico si nota il riflesso dell’assenza di Hyde, quasi una posa di bontà e rettitudine troppo accentuata per essere naturale e organicamente completa. A differenza di molte altre interpretazioni, Russo non ha restituito dei tipi, figure stilizzate che incarnassero la virtù o il male, ma ha saputo interpretare ciascuno ruolo come fossero complessi organismi fatti a loro volta di sfaccettature e uniti indissolubilmente da qualcosa di più viscerale che la sola condivisione del corpo.

La solidità di un cast multiforme

Ottimo è stato anche Geno Diana nei panni dell’avvocato Utterson, amico di Jekyll che come noi indaga il mistero che avvolge il medico. Diana ha saputo conferire un carattere stoico, grave e meditabondo al suo personaggio che ben si accostava quasi come un controcanto alle bizzarrie degli altri, ma accennando anche qualcosa di più, compassione forse o terrore per la mente disturbata dell’amico. Dall’alto della sua statura morale, Utterson tocca con mano la perversione di Hyde e può condannarla da giudice imparziale, ma non può nascondere il timore che una simile malvagità alberghi anche in lui, come nel più mite tra gli uomini, come in tutti gli esseri umani in realtà. Pregnanti anche le interpretazioni di Roberto Salemi, Angelo Zampieri e Alessia Santalucia che si sono cimentati nell’interpretazione di vari ruoli nel corso dello spettacolo passando da uno all’altro con grande dinamicità, pur restando sempre credibili.

Una scenografia che parla

La scenografia di Gregorio Botta e Lucia Imperato ha saputo imporsi come un vero e proprio personaggio dotato di parola. Siamo in una strada londinese attorniata dalle alte mura delle case, al centro del palcoscenico si staglia un lampione e più in fondo un’unica porta solitaria. La strada e la porta, proprio come nel romanzo, racchiudono un significato ancora più profondo in quanto luoghi di incontro, di transizione, instabilità e metamorfosi. Le luci poi si alzano e si scopre che le pareti sono fatte di specchi, superfici che riflettono e mostrano, ma che all’occasione diventano anche trasparenti per rivelare chi sta dietro o si trasformano in finestre da cui sbucano i personaggi nel corso dello spettacolo. Inoltre, l’atmosfera fumosa e i lumi caldi hanno evocato lo squisito senso del gotico e del mistero che aleggiava sul palcoscenico. L’audace uso da parte di Salvatore Palladino di luci bianche e intermittenti, poi, ha sottolineato e amplificato la crudeltà dei delitti che si consumavano nel dramma, aumentando così il senso di orrore che tanto magistralmente è stato alimentato durante tutto lo spettacolo.

Un dramma Freudiano e Shakespeariano

Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde è figlio del proprio tempo. La vicinanza cronologica con Freud e la nascita della psicoanalisi ha certamente lasciato la propria impronta nel romanzo di Stevenson. Come il Dr Frankenstein, Jekyll studia la natura umana, questa volta però agendo sulla mente e non solo sul corpo. Indaga la morale, l’inconscio e l’ambiente. Tutti temi che oggi più che mai interessano la nostra contemporaneità. Soprattutto dopo il periodo del Covid, la salute mentale è diventata un tema sempre più importante e di cui, fortunatamente, si discute in maniera più libera. Ciò che ancora oggi dobbiamo tenere a mente, e che spesso sfugge persino a Jekyll, è che Hyde non è solo una bestia malvagia da imprigionare ed eliminare. Hyde è l’istinto, l’egoismo, il vizio che fa parte della natura umana allo stesso modo di bontà e virtù. Se viene temuta come un tabù, repressa ai limiti della violenza, la parte perversa si acuisce, fa più paura e rischia di esplodere in maniera ancora più potente. Ciò non significa ovviamente alimentare la nostra cattiveria ma, nei limiti della sicurezza propria e altrui, accettare di essere imperfetti e sfaccettati. Jekyll avverte fin da bambino la sua parte “corrotta” ma decide di nasconderla per proteggere la propria immagine esteriore, la propria reputazione e posizione sociale, rifiutando di ammettere persino con sé stesso la sua vera natura ed entrando in uno stato di morbosa ossessività. Se nel libro i “piaceri perversi” del Dr Jekyll non vengono mai mostrati e spesso si è supposto si trattasse di tendenze omossessuali, pesantemente condannate all’epoca di Stevenson, nello spettacolo vengono rivelati come tendenze violente e pedofile, avvicinando ancora di più il testo alla triste realtà contemporanea.

Inoltre, da notare gli squisiti rimandi ad un’altra opera teatrale legata al tema dell’inconscio, il Macbeth. Considerato uno dei testi più importanti del Romanticismo, precede di secoli questioni come l’inconscio, lo studio dei sogni e il trauma. Il fantasma di Banquo che solo Macbeth vede non è altro che la sua coscienza che lo tormenta, così come nel dramma Hyde viene perseguitato dai fantasmi di chi ha ferito. Inoltre, iconica è la scena di Lady Macbeth che, sonnambula, si pulisce le mani dal sangue del re Duncan, ormai non più visibile. Così anche Jekyll si strofina ossessivamente le mani, una volta risvegliatosi dopo la notte in cui, nei panni di Hyde, ha ucciso un uomo.

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