Dopo 5 settimane di teatro indipendente nella Capitale, si è conclusa ieri sera sotto un acquazzone torrenziale la terza edizione del Roma Fringe Festival.
Molti altri colleghi hanno già scritto tanto sulla formula Fringe di Roma, sugli aspetti economici, sulle potenzialità e anche sulle lamentele da parte delle Compagnie che hanno partecipato a questa o alle scorse edizioni.
E’ ovvio che ci sono punti deboli nell’organizzazione di un giovane Festival, ma in 3 anni c’è stata comunque la volontà di andare avanti e sopravvivere.
Dietro la scritta Roma Fringe Festival, quindi nel back stage, ho incontrato un gruppo di giovani determinati e pronti a mettersi in gioco in prima persona, quindi Davide Ambrogi, Marta Volterra, Alessandro Di Somma, Eleonora Turco, Marco Zordan, Francesca Romana Nascè e Raffaele Balzano, che si sono conosciuti e stimati fino ad arrivare alla terza edizione del Fringe di Roma, mi hanno raccontato come hanno affrontato la burocrazia capitolina, che non li supporta a livello economico e che molto spesso scoraggia le giovani iniziative, e di come hanno gestito le relazioni con piccoli e grandi artisti ospiti del Festival.
Il Fringe quindi non è un’entità astratta, fatta di persone senza volto e senza limiti, ma come detto sono giovani artisti e non, che hanno voluto investire su loro stessi a favore della divulgazione della cultura indipendente.
Decidere di fare cultura oggi in Italia, e soprattutto a Roma, è qualcosa che io personalmente apprezzo. Virgoletto il “Fare Cultura” perché è un concetto labile nella Capitale, dove dietro alla parola CULTURA si celano a volte dinamiche politiche disastrose ma questo è un altro discorso…
Il Roma Fringe Festival, seppur con i suoi limiti, è un appuntamento che giova a tanti: agli organizzatori che vedono realizzato un loro sogno e sperano di crescere sempre di più e poter dare dignità al Teatro Indipendente; serve a lavorare nella direzione di trasformare il volontariato in una forma di lavoro retribuito per gli stessi creatori del Roma Fringe Festival.
Giova alle giovani compagnie che si trovano e si confrontano tra loro e con un pubblico non solo fatto di amici e parenti, come spesso capita nei circuiti del teatro indipendenti che affrontano i limiti di essere giovani compagnie poco rodate, dove è ovvio e naturale che nascano anche amarezze non sempre causate da pecche organizzative, ma dalla confusa natura che ha il Teatro Off a Roma.
Il punto dolente del Fringe per le giovani compagnie è l’investimento economico richiesto, che diventa fonte magari di selezione all’entrata, per altri magari potrebbe essere un investimento economico troppo alto per quello che si ottiene; ma soffermandoci sul punto economico si potrebbe perdere lo spirito del Fringe che è quello di mettersi in gioco, rischiando personalmente tanto, affrontando e superando le proprie reticenze.
Il Roma Fringe Festival è un punto d’inizio non di arrivo per chi ha intenzione di perseguire la strada del teatro indipendente e non per tutti è la strada giusta.
Mi soffermo su questo punto perché spesso a Roma si impiega più tempo a criticare le cose che vengono create da altri più che provare a risolverle insieme.
Questo è un punto cardine del perché la situazione artistico-culturale romana è così chiusa.
Naturalmente questo non deve però scusare le inadempienze, quando ci sono, di un Festival, che come contenitore di “Materia Viva” deve continuamente aggiustare il tiro..
Concludo dicendo che non sono una fans del Roma Fringe Festival, ma sostengo le attività che mirano alla divulgazione e alla dignità della cultura e dell’arte INDIPENDENTE, mantenendo chiarezza, trasparenza e onestà intellettuale, e, per quanto ho vissuto in questo mese, mi sembra che ci sia da parte di tutto lo staff la volontà di non dimenticare queste tre semplici parole.