La storia d’America vista attraverso le biografie delle mogli dei presidenti rivela angoli inaspettati e nascosti.
Mario Bussoni, ex docente di Storia del Novecento e del Medioevo, giornalista e storico, nel suo saggio First ladies. Le «vere» padrone della Casa Bianca (Mattioli 1885) racconta le vite delle donne che hanno contribuito a formare gli States accanto ai propri mariti.
Sono descrizioni di esistenze, in alcuni casi “al limite”, in cui paure, fissazioni, senso del potere, bisogno di notorietà si mescolano con animi miti, timidezze e, in alcuni casi, anche con l’amore.
Mario Bussoni, ha collaborato con Il Giornale, Il Corriere della Sera e Il Sole 24 ore, ha redatto 6 guide per il Touring Club Italiano, è coautore dell’enciclopedia XX Secolo della De Agostini.
Com’è nata l’idea di scrivere una biografia sulle mogli dei presidenti?
Per prima cosa, nello scrivere libri, cerco sempre di trovare argomenti non trattati o poco seguiti da altri.
Inoltre, mi sono posto la domanda se la maggior parte delle donne che di sono sedute a fianco del numero uno degli Stati Uniti meritino (a parte qualcuna delle quali si è parlato sin troppo: Jacqueline Kennedy, Hillary Clinton, Michelle Obama e Melania Trump) di essere relegate nel dimenticatoio della storia. La risposta è stata: assolutamente no.
Ma non si tratta di un discorso femminista, o di rivalutazione di questo o di quel ruolo, bensì di una semplice constatazione storica. Alla fine dei conti le First Ladies sono state, meriti o meno, tutte regine senza corona.
Al fianco dei rispettivi mariti, esse hanno infatti contribuito, ovviamente chi più e chi meno e nel bene o nel male, a fare grandi gli Stati Uniti d’America. Ripercorrendo la loro storia si incontrano così donne a volte inconsistenti, sottomesse, sfacciatamente tradite e relegate dietro le quinte. Oppure sfortunate, in quanto passate a miglior vita poco prima di accedere alla Casa Bianca o subito dopo.
O ancora impaurite dal ruolo ricoperto o indifferenti, fredde e distaccate e persino altezzose. E poi donne preoccupate solamente della propria figura, troppo ambiziose, aggrappate cinicamente al potere, prevaricatrici e despote o addirittura esse stesse numero uno al posto di un marito mediocre o incapace e infine donne malaticce, gravemente depresse o instabili mentalmente. Ciò accade del resto, nella vita di tutti i giorni, alle persone comuni. Le quali vengono poi giudicate in base ai loro pregi o difetti.
Nel mio libro ho voluto infine tratteggiare anche le cosiddette “sostitute”, figlie, nipoti o amanti, in quanto le First Ladies titolari non erano in grado di assolvere, soprattutto per motivi di salute, il proprio ruolo. Di loro nessuno ha mai parlato.
Approfondendo le ricerche, che idea si è fatto del ruolo delle consorti nella storia americana?
Negli Stati Uniti quello delle First Ladies non è solamente un ruolo di facciata, ossia un’esteriorità nella quale occorre solamente sapersi presentare bene, dire cose appropriate, non esporsi a critiche e stare al proprio posto.
L’opinione pubblica americana attribuisce infatti loro la figura simbolo (pur se oggi contestata dai cosiddetti progressisti) della moglie tipica made in Usa, ossia di un’housewife (donna di casa), fedele al marito e attaccata alla famiglia.
Un conto è essere ammirata, invidiata per il suo dettare legge nel campo della moda come Jacqueline Kennedy, un altro è essere amata come Mamie Eisenhower, che nessuno ricorda più.
Persino Michelle Obama, pur se il marito ha impostato una politica aperta a ogni tipo di famiglia, non ha mai dimenticato di farsi ritrarre insieme a lui e alle figlie, nell’intimità della casa e magari in cucina. A questo l’opinione pubblica americana tiene molto.
Il panorama delle First Ladies è comunque variegato.
Da una parte troviamo donne insignificanti o addirittura “strane”; dall’altra veri e propri personaggi che hanno lasciato il segno. Tra le prime vanno annoverate: Martha Washington, che accetta di malavoglia l’incarico e si autodefinisce prima una “governante antiquata” e poi “un prigioniero di Stato”; Lucille Hayes, soprannominata Lemonade Lucy per avere bandito gli alcolici dalla Casa Bianca e, bigotta, ritenendo quello di gola un peccato grave, nelle cene ufficiali fa apparecchiare la tavola con piatti nei quali sono ritratte mele sfatte e rosicchiate dai vermi; Caroline Harrison è poi talmente spaventata a morte dall’avvento dell’energia elettrica, che lascia l’incarico alla figlia; Dolley Madison che “sembrava essere votata lei, non lui”, tanto spento era il marito; Mary Lincoln, che dopo avere esultato “Siamo stati eletti” , finirà in un Istituto per malati di mente, causa i troppi tradimenti del marito; Florence Harding, che qualche storico ritiene abbia avvelenato il consorte per sottrarlo alla gogna di un grosso scandalo finanziario e dai debiti contratti; e la sfortunata Jane Pierce che, dopo avere assistito alla morte di tre figli in tenera età e uno undicenne in uno scontro ferroviario nel quale lei e il marito erano rimasti incolumi, odia la Casa Bianca, ritenendola una maledizione divina.
Ma ecco anche donne di polso. Si può iniziare da Abigail Adams. La quale, dopo qualche iniziale crisi di panico, surroga il marito, pedante, noioso e eccessivamente grasso, sino a guadagnarsi il titolo di Miss President.
Edith Wilson, nell’ottobre 1919, quando il marito viene colpito da ictus, lo isola completamente dal proprio staff e dal mondo. E pertanto, sino al marzo 1921, sarà pertanto lei il “presidente segreto” e quindi “la prima donna a capo degli Stati Uniti”.
Anne Reagan, ex attrice conosciuta in certi ambienti per vezzi innominabili, passerà invece alla storia come la “donna con più potere di quanto osiamo pensare”. Tanto da essere accusata di avere trasformato la Casa Bianca in una Corte personale. Si circonderà solo di persone fidate e proteggerà infine il marito in ogni occasione, anche a rischio di trasformarlo in un burattino, soprattutto quando sarà colpito dall’Alzheimer. Oltretutto prenderà decisioni importanti in sua vece, sia riguardo la politica interna che estera.
Due donne di polso (ma solo nei confronti dei rispettivi mariti, senza mai interessarsi di altro) sono invece Barbara Bush (l’“irriducibile nonnetta”), che mette subito in chiaro con l’opinione pubblica americana:
“non intendo tingermi i capelli, non intendo dimagrire, non voglio cambiare il modo di vestire”;
e Laura Bush. Più o meno, entrambe si ritrovano al fianco di mariti “divertenti come la cartella delle tasse” e “uomini dai quali le donne non vedono l’ora di divorziare”.
Più amori o interessi in questi matrimoni?
Di amori nel vero senso della parola se ne intravvedono ben pochi. Per certi versi, Claudia Johnson (Lady Bird), moglie di un presidente troppo bistrattato, che però sul piano sociale realizza quello che John Fitzgerald Kennedy ha solamente promesso.
Mai nessuna First Lady otterrà 15 lauree a honorem come lei, oltre alla Medal of freedom, la più alta onorificenza civile, più la medaglia del Congresso; e Eleanor Rosalynn Carter, a sua volta moglie di un presidente poco considerato, che agisce però sempre in concerto con il marito, rivelandosi indispensabile e essenziale. Due coppie solide: la prima con il marito tollerato per le sue continue scappatelle, la seconda con un consorte fedelissimo.
Il matrimonio di Anna Eleonor Roosevelt, nonostante i sei figli avuti, è al contrario un rapporto di reciproca convenienza. Lei diventa “le gambe, le orecchie e gli occhi del presidente” (colpito da poliomielite, ma impenitente woomaniter, donnaiolo). Secondo il figlio James, la coppia vive una sorta di “tregua armata” e una vita “da fratelli, amici e soci”. Insieme formano una formidabile coppia, che non fa che mietere consensi.
La First Lady vive comunque una vita appagante e felice insieme a Lorena Hickok, corrispondente dell’ agenzia di stampa Associated Press (una donna alta un metro e cinquanta , che fuma due pacchetti di Camel al giorno, sigari e pipa e tracanna bicchieri di bourbon).
Infine, Anna Eleonor, grande Prima donna, rappresenterà il governo degli Stati Uniti all’Onu e sarà anche presidente della Commissione per i diritti umani, guadagnandosi così il titolo di First Lady del mondo.
La storia di Jacqueline Kennedy sfata invece una sorta di favola di Cenerentola. Lei stessa rifiuta il nome di First Lady, ammettendo che “sembra quello di una cavalla”.
All’attuale, gli storici stanno demolendo il mito mediatico nato intorno al marito, che ha in testa una cosa sola: le donne, sino a essere definito un “assatanato di sesso”. Passione che lo conduce spesso a mettere a repentaglio persino la sicurezza del Paese e a “trasformare la Casa Bianca in un bordello”. Tanto che il padre John, confida al capo dell’Fbi John Edgar Hoover: “Avrei fatto bene a castrarlo da piccolo”.
La First Lady sopporta a lungo tale situazione. In seguito però, si vendicherà, abbandonandosi tra le braccia di numerosi divi di Hollywood, tra i quali William Holden, Marlon Brando e Paul Newman.
E, dopo la morte del marito, si consolerà con suo fratello Bob. Più tardi, l’opinione pubblica americana non le perdonerà mai il matrimonio con l’armatore greco Aristotele Onassis (legato a Maria Callas).
“Si è venduta al miglior offerente”,
sarà infatti il commento generale.
Documentandomi per il mio libro, mi anche colpito, ma non del tutto convinto, Michelle Obama: una donna volitiva, che potrebbe essere il prossimo presidente degli Stati Uniti.
In coppia con il marito (un solido matrimonio alle spalle) ha buone probabilità di spuntarla, pur se buona parte dell’elettorato americano la giudica troppo saputa, troppo perbenista, troppo politically correct e una falsa “nera arrabbiata”.
Tra tutte queste donne quali sono quelle che l’hanno colpita di più?
A colpirmi di più, in negativo però, è stata Hillary Clinton. Una donna che stringe un patto poco edificante con il marito Bill, definito uno “stupratore seriale” e un “bugiardo patologico”.
Lui può dedicarsi liberamente al proprio instancabile correre dietro alle sottane (cercando di non creare scandali) e lei tiene saldamente in mano il bastone del comando, sfruttando però il nome e la posizione del coniuge.
Sia come First Lady che come segretario di Stato (“irrilevante e scolorita”) e come aspirante presidente, Hillary mostra un’ambizione sfrenata, priva di ogni scrupolo e “moralmente e eticamente corrotta” e invischiata in giri politici e affaristici non troppo raccomandabili.
Un insieme di cose che giungono a sdegnare l’opinione pubblica americana e a screditare il buon nome gli Stati Uniti, sino a fargli perdere credibilità nei confronti del resto del mondo.
Quando gli elettori made in Usa (non i media che sono tutti a suo favore) apriranno gli occhi, la bocceranno senza pietà, preferendogli l’“impresentabile” Donald Trump.
Sconvolgendo così le previsioni della vigilia che le davano per certa la vittoria. Ecco allora il ruolo di First Lady toccare a Melania. La quale, pur attaccata da più parti, sta rapidamente risalendo l’indice di gradimento, mostrandosi non solo una First Lady bella, ma anche intelligente. E quello che più conta sicura, affidabile e discreta.