Debutta ufficialmente questa sera al Teatro Nazionale di Milano il nuovo musical firmato da Federico Bellone (Dirty Dancing, Newsies le sue ultime regie), Fame – Saranno Famosi. Un titolo noto e per certi versi anche scomodo. Lo spettacolo è scritto a David De Silva già autore del film del 1980 al quale si ispira per la versione teatrale.
Non è il film ma è una storia molto molto simile al film (stessi ragazzi, stessi insegnanti) a cui però hanno cambiato i nomi. Ad esempio, qui il noto ballerino di colore che seduce le insegnanti durante l’audizione, che non sa leggere, che lega con la ballerina nobile Leroy Johnson prende il nome Tyrone Jackson.
Anche la trama dovrebbe essere molto molto simile al quella del film. Dovrebbe perché nella versione che abbiamo visto ieri sera lo è molto marginalmente.
I protagonisti, allievi e professori, che nel film hanno tutti alle spalle delle storie personali molto molto forti, a volte anche drammatiche, qui sono ridotti a una serie di figure totalmente indefinite. Gli alunni paiono solo degli esaltati che vogliono arrivare al successo; i quattro professori hanno un peso sull’educazione degli alunni molto marginale, con le consuete scaramucce tra insegnanti per la difesa o meno dell’alunno più scapestrato, ma di forte talento.
Il risultato sono solo una serie di quadretti fine a sé stessi, numeri di canto e ballo (il ballo è la parte migliore, non eccezionale ma migliore con lo coreografie firmate da Gail Richardson) che oramai siamo abituati a vedere da anni in programmi come “Amici”. Potrebbe quindi passare per una versione concerto, più che per uno spettacolo.
Le personalità, le storie dei singoli non vengono mai fuori. Non c’è alcun collegamento con l’esterno. Neppure minimamente accennato. Eppure il film (prima) e la serie tv (dopo) erano centrati proprio sul rapporto tra vita reale e sogni, tra problemi quotidiani e l’arte che ognuno di loro vuole esprimere per arrivare al successo.
Mancando quindi l’anima dei personaggi, il resto non esiste.
Nel primo tempo più di una volta viene da dire “Quando inizia la storia? Quando inizia lo spettacolo?” E la colpa non è di chi sta sul palco, ma di chi ha adattato e diretto lo spettacolo.
I ragazzi sono molto acerbi comunque. Molti di loro provengono direttamente dalla SDM, Scuola del Musical di Milano con piccole particine o ruoli da ensamble nel loro curriculum. Tra questi però due si fanno notare: Renato Tognocchi (all’attivo molti ensamble di produzioni importati) che interpreta il portoricano Joe Vegas (nel film Raul Garcia) dalla identica bandana in testa e Michelle Perera (Mabel Washington), unica che sa cosa vuol dire cantare e interpretare. Tanto che quando canta una canzone sul suo rapporto con il cibo, il pubblico le tributa un applauso a scena aperta di 10 minuti, tanto che a Michelle (vista come concorrente nella prima edizione di The Voice), le si inumidiscono gli occhi tanto da non riuscire ad andare avanti. Applausi che proseguiranno fragorosi anche nei saluti finali.
Tra gli attori adulti spicca la personalità di Francesca Taverni, qui però troppo dura. Simona Samarelli nelle vesti dell’insegnante di danza non brilla e si limita a svolgere un compitino. Gipeto veste i panni di Mr Sheinkopf, professore di musica (nel film era il burbero e simpatico Shorofsky), ma la sua partecipazione (in cui si avvicina moltissimo all’originale) è limitata a tre, quattro battute. Infine Donato Altomare, il professore di recitazione Mr Myers poco incisivo sulla formazione dei ragazzi.
Le canzoni, tutte scritte apposta per il musical, quindi non sentirete “On my own”, sono piatte, non dicono nulla, non restano, spesso urlate e poco interpretate (con qualche evidente stonatura).
Resta solo la celebre “Fame”, ballata sul famoso taxi,
relegata però ai saluti finali.
In scena al Teatro Nazionale fino al primo Maggio.