Lo spettacolo ha aperto il Festival di Borgio Verezzi la scorsa estate e da quel momento colleziona ottime critiche e recensioni in tutta Italia. Scritta da Brecht negli anni ‘30 questa versione si ispira all’edizione di Strehler del 1981.
In una Cina di fantasia, flagellata però da conflitti etico-sociali straordinariamente affini a quelli causati dall’attuale crisi economica globale, tre Dei scendono sulla terra alla ricerca di “un’anima buona” per scoprire che l’unica persona disposta a ospitarli per la notte è una misera prostituta. Ricompensata con una grossa somma, Shen-Te lascia il mestiere più vecchio del mondo e acquista una tabaccheria, ma tutti sfruttano la bontà della donna, che cadrebbe in rovina se ogni tanto non fingesse di sparire, presentandosi sotto le mentite spoglie di un presunto cugino, Shui-Ta, esperto uomo d’affari e per nulla generoso.
Come allora ritorna sul palco la piattaforma girevole su cui cambiano le scene e corrono, cadono, si azzuffano i protagonisti; ritornano i giochi e i disegni di luce ed ombra – che ora portano la firma dello straordinario light designer Pietro Sperduti – che segnano e accompagnano il passaggio dal bene al male. Ritorna il gotha dei personaggi brechtiani, così caratterizzati, tanto straniati quanto reali, e con essi il bisogno prepotente di dimostrare che i buoni possono ancora vivere su questa terra.
«Nell’Anima buona di Sezuan – spiega Monica Guerritore – c’è un piccolo popolo di abitanti di un luogo che è tutti i luoghi del mondo: essi appaiono come buffi, straniti e imperiosi ‘personaggi’ più veri e precisi che nel mondo reale. Nel mio spettacolo è forte l’influenza del mio Maestro: soprattutto nel concetto che l’essere umano si rappresenta perché, attraverso la rappresentazione, qualcuno lo capisca, lo accolga, lo compianga e forse gli dia una soluzione finale.»
E ritorna in questa versione la denuncia del dramma della povertà.
«Nell’Anima Buona c’è tutta la tenerezza e l’amore per gli esseri umani costretti dalla povertà e dalla sofferenza a divorarsi gli uni con gli altri – illustra la regista – ma sempre raccontati con lo sguardo tenero e buffo di chi comprende. In questi anni durissimi solo il teatro può raccontarci dal di dentro, rendendoci consapevoli delle maschere ringhianti che stiamo diventando. Mettere in scena la meravigliosa parabola di Brecht risponde alla missione civile e politica del mio mestiere. Teatro civile, politico, di poesia».
Insieme al doppio ruolo interpretato da Monica Guerritore per precisa scelta registica anche gli attori con cui condivide il palcoscenico prestano fisicità e carattere a più di un personaggio: Matteo Cirillo è l’aviatore arrivista e il falegname che affoga nell’alcol le sue responsabilità; Alessandro Di Somma è uno degli dei, il bambino e la vedova Li; Nicolò Giacalone è il marito e il barbiere; Enzo Gambino è l’acquaiolo e il fratello zoppo; Francesco Godina è il nipote, il primo dio e il poliziotto strampalato; Diego Migeni è il terzo dio e la signora Mi Tzu; Lucilla Mininno è la signora Yang e la moglie.
Il risultato è la fotografia disincantata di un’umanità stremata e allo sbando davanti alla quale il pubblico è chiamato a rispondere da che parte stare, dalla parte del bene o del male. Nel finale si sente la voce autentica di Strehler che richiama tutti a un imperativo morale.