Caleidoscopio di suoni, di musiche e di figure, anche solo appena abbozzate: ecco gli Occhi gettati di Enzo Moscato che chiude la rassegna Garofano verde, scenari di teatro omosessuale.
Moscato porta in scena un testo composito, costruito su tre momenti, lirico il primo, epici gli altri due, a comporre un affresco in forma di lettura semiscenica.
Più degli occhi, che quasi non fanno in tempo a seguire il districato racconto, anzi i racconti nel racconto, sono le orecchie ad essere colpite da una misticanza di lingue e suoni, accenti e armonie antiche. La lingua è “recitabile e cantabile, percorre vie sotterranee e fa appello all’emozione anche inconscia dell’ascoltatore”, citando Franca Angelini, che parte dei suoi studi l’ha dedicata al teatro napoletano, ispezionato con acume e sensibilità.
E all’interno di questa koinè costruita sulle re-citazioni del napoletano e di tutte le lingue della modernità, del cinema, della canzone e altro ancora, Moscato, in doppia veste di autore e attore, è perfettamente a suo agio, padrone della scena, della parola, del suono e di una trama che dipana la sua complessità attraverso labirintiche sovrapposizioni, incastri e reiterazioni.
Occhi gettati è un testo antico, quasi primigenio, all’interno della ricca produzione di Moscato, di cui in questa occasione vengono proposte solo alcune parti. Lo confessa al pubblico, in una chiacchierata introduttiva con Rodolfo Di Giammarco, l’autore stesso che dichiara soprattutto la volontà di partecipare alla rassegna e il piacere di riportare in vita un testo che da tempo non eseguiva. La stanchezza, dice, si fa sentire nell’esecuzione che richiede, all’interprete, un impegno non indifferente in termini di partecipazione e altletismo scenico.
Infatti la scrittura baroccheggiante, che ricorda il Basile affabulatore, non dà riposo all’esecutore, sospinto e quasi sottomesso dal turbinio degli eventi narrati.
Se l’episodiso delle tre prostitute ha già in sé un meccanismo epico di reiterazioni e parallelismi, linguistici ma anche numerici, è però l’episodio conclusivo ad essere vero centro nevralgico dello spettacolo. In questo caso il tema è propriamente quello dello scambio e del cambio di identità sessuale, della transessualità. La vicenda è imperniata sul viaggio via mare di tre transessuali desiderosi di trasformarsi finalmente in donne complete.
Un desiderio che sarà disatteso, almeno in parte, mentre il tema del viaggio, della perdita e del ritrovamento di se stessi – forse tema centrale del percorso transessuale – e infine dell’accettazione sociale attraverso la celebrazione di un’unione fra la protagonista e una sua amica, creduta morta e ritornata, per errore, uomo a tutti gli effetti. La trama è inoltre complicata da una lunga serie di diversivi e ritardi, assurdi avvenimenti e improvvisi scarti drammatici, ingressi repentini di personaggi grotteschi e il finale a sorpresa chiosato dal “To be or not to te”, già posto in apertura a volerci offrire una chiave del racconto.
L’allestimento in forma di reading- spettacolo sembrerebbe limitare l’istrionismo di Moscato, anche per una dimensione scenica fissa e per un disegno ludi davvero discutibile, eppure egli riesce a trascinare tutto il pubblico nel suo “delirio fonico” tanto da attribuire a lui e alla sua opera un applauso lungo e perfettamente consapevole. La vittoria della cultura e dell’arte sui limiti imposti dalla scarsità dei fondi disponibili è una duplice vittoria. Si chiude così la 24a edizione del Garofano Verde, nella speranza che in futuro il sostegno e la partecipazione a questa iniziativa, cui va l’onore di nutrire il dialogo attraverso una drammaturgia “di genere”, vadano sempre aumentando