Era il 2009 quando un gruppo di comici capitanati da Filippo Giardina, saliva sul palco e per la prima volta in assoluto portava in scena, in Italia, la stand up comedy. Sette anni di battaglie, di monologhi interpretati davanti a trenta, cinquanta persone, che poi, con gli anni, sono diventate migliaia.
Questo genere di comicità esplicita che, senza mezzi termini, spiattella in faccia al pubblico la mediocrità della nostra società, è stata sempre guardata a distanza da produttori televisivi, direttori teatrali. Ma si sa, in Italia si seguono le mode e Zelig e Colorado, contenitori di comicità ben lontana dalla stand up comedy, hanno caratterizzato un intero decennio. Ma poi le cose cambiano.
La stand up comedy, genere molto seguito nei paesi anglosassoni, finalmente è arrivata in Italia e mentre i big (Giorgo Montanini, Filippo Giardina e altri comici del gruppo Satiriasi) riempiono i teatri e palinsesti televisivi (Stand Up Comedy su Sky e Nemico Pubblico Rai3), ci sono giovani leve che dapprima con workshop, poi con Open Mic iniziano a salire sul palco e a cimentarsi in questa “novità”. Tra i giovani stand up comedian emergenti c’è Emanuele Pantano, comico siciliano che il 30 gennaio si è esibito sul palco della Tognazza al Douze.
I pesci non mangiano la marmellata, è questo il titolo del suo primo monologo. Visibilmente emozionato, il giovane comico siculo, da poco padre, ha dato vita a circa cinquanta minuti di comicità. I temi trattati sono quelli classici della satira: sesso, politica, religione.
Parte dalla “genialità” delle frasi fatte per passare poi alla Bibbia, ai Santi e al concetto di devozione come sinonimo di raccomandazione, pratica che caratterizza il popolo italiani. Scherza con il pubblico, in particolare con i cinquantenni, coloro che negli anni Ottanta non hanno fermato i politici del tempo nella distruzione del futuro; parla di crisi, della sua paternità e della sua inevitabile gelosia nei confronti della figlia.
Affronta la morte e le malattie e confessa di sognare l’alzheimer, definendolo il male della felicità, in quanto condanna all’oblio delle emozioni.
I temi e gli argomenti ci sono tutti, anche la profondità autoriale è ben visibile, l’unico elemento in cui crediamo che Pantano debba lavorare meglio sia la “messa in scena”. Non basta un’asta e un microfono, non basta avere dei contenuti che spronano il pubblico a pensare, serve anche quella presenza scenica, quel piglio carismatico che prende le viscere dello spettatore, manca quel pizzico di cattiveria che caratterizza chi, nel dirti la verità, ti fa male, ti sconvolge. Tutti elementi che il comico possiede ma li custodisce senza rendersene conto. In alcune parti dello spettacolo, proprio nel momento in cui le basi per decollare ci sono, le battute, quelle che strapperebbe la risata, vengono sfruttate poco. Siamo certi che sia la mancanza di esperienza sul palco, ma quella la dona il tempo, e siamo altrettanto certi che queste nuove leve della stand up comedy porteranno ben avanti una rivoluzione iniziata dal gruppo Satiriasi nel 2009 e che corre verso la sua consacrazione.
Come ti sei avvicinato alla stand up comedy?
Sono sempre stato appassionato di comicità; è una passione che mi ha trasmesso mio zio che, sin da piccolo, mi ha cresciuto a pane e Woody Allen. Da quegli anni, non ho mai smesso di guardare la comicità e studiare i meccanismi della scrittura comica.
Ci sono comici a cui ti ispiri?
Ci sono comici che mi hanno ispirato e mi hanno, inconsapevolmente, spinto verso questo lavoro, ma adesso cerco di farmi ispirare da me stesso. Anzi, la maggior parte del mio lavoro, adesso, consiste nel togliere dai testi che scrivo tutto ciò ha detto qualcun altro. L’originalità dovrebbe essere la regola universale.
Cosa pensi del futuro della stand up comedy in Italia?
Io posso parlare di quello che è stata l’esperienza “Satiriasi” per me: in un mondo di battutari, scopiazzatori e barzellettieri, mi ha fatto sentire meno solo. Mi ha fatto capire che non ero l’unico a sperare che “un altro comico è possibile”.
E del successo di Giorgio Montanini?
Giorgio Montanini è ovviamente la testa d’ariete di questo movimento, è un talento puro. Ha una forza comica inimitabile. Non vedo l’ora di ricordargli quando, fra 20 anni, leggerà in tv, in prima serata su Rai Uno, da buon marchigiano, lo zibaldone di Leopardi.
Tra gli stand up comedian italiani, c’è uno che consideri “maestro”?
Il primo a consigliarmi di salire in scena è stato Filippo Giardina, ho avuto il privilegio di aprire lo spettacolo di Montanini e ho imparato tanto da ognuno dei comedian di Satiriasi, ma soprattutto da Pietro Sparacino, Francesco De Carlo e Velia Lalli, con cui ho costruito anche ottimi rapporti personali. Come puoi capire, al momento, ho più maestri che spettatori.
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