Di Manuela Monteleone

 

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In occasione della Giornata della Memoria, Arbeit macht frei è il titolo dello spettacolo andato in scena al Teatro delle Stanze Segrete di Roma dal 28 gennaio al 2 febbraio, diretto da de Papi e interpretato da Luana Strozzi, Dario de Francesco, Giovanni Pannozzo, Giorgia Piracci.

Un’esibizione che, nonostante riguardasse un tema delicato, conosciuto e pluritrattato da diversi punti di vista, ha saputo mantenere la propria unicità. A fare da cornice è stato un set accuratamente allestito nel quale, se pur con pochi e semplici oggetti, gli attori si sono inseriti con dimestichezza accompagnando i propri monologhi con gesti che prevedevano l’uso di scarpette rosse taglia 24, pupazzi-fagotti, fotografie.

Uno spettacolo che ha totalmente rotto quello che si ritiene essere un canone del teatro: la distinzione tra lo spazio degli attori e quello del pubblico. Un distacco che di solito è rappresentato spazialmente dalla distanza tra il palcoscenico e i singoli posti. Al Teatro delle Stanze Segrete è stato impossibile avvertire questa separazione sia per l’empatia indotta nel pubblico grazie all’interpretazione toccante e sentita di un tema che inevitabilmente arriva dritto al cuore puntando alle lacrime, sia per la disposizione scenografica, dato che il frame in cui agiscono i personaggi è lo stesso in cui sono presenti coloro che assistono.

Ed ecco che i prigionieri sono anche gli spettatori. A loro vengono consegnati il tozzo di pane, la bottiglietta d’acqua, la saponetta; loro sono quelli che guardano dal basso verso l’alto un soldato delle SS; loro sono quelli a cui viene puntata una pistola che spara un colpo, lasciandoli nel buio.

Con professionalità e sentimento questi interpreti hanno compiuto i loro movimenti in mezzo ai presenti, sono entrati e usciti di scena attraversando la platea e direzionando i loro sguardi e le loro parole ad ognuno, come se volessero dare importanza ad ogni individuo. A dare forza a questa atmosfera è stata la scelta del regista di inserire il percorso di un soldato, non solo quello dei prigionieri, dal momento in cui si infatua dell’ideologia nazista fino a diventarne succube.

Ecco, è questo il messaggio della trasposizione teatrale della Shoah. Un messaggio che è stato mandato non solo con la trasmissione dei contenuti come poesie, racconti, scene, ma con un esercizio di stile che ha donato completezza alla rappresentazione.

Il significato del titolo dell’opera (Il lavoro rende liberi), è la scritta presente ai cancelli dei campi di concentramento, una frase definita “illusoria e beffarda” perché riferita a persone che non avrebbero mai più rivisto la libertà. Forse solo la morte avrebbe potuto farli sentire di nuovo liberi e non più prigionieri di coscienza.

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