L’anteprima di È solo la fine del mondo di Xavier Dolan, in uscita nelle sale il 7 Dicembre.
La vita e la morte ci appaiono spesso come dati per certi ed assoluti.
Ma spesso, sono solo concetti relativi. Concetti di cui possiamo riappropriarci nella loro autenticità: allora, persino la morte può essere vitale mentre la vita può scorrere mortalmente.
Il film del talentuoso regista canadese Xavier Dolan, È solo la fine del mondo è il racconto di Louis uno scrittore nel pieno della sua carriera. In un momento molto difficile della sua vita, decide di tornare dalla sua famiglia di origine, da cui si era separato 12 anni prima.
Sembra la cosa giusta da fare. Ben presto ciò che appare come conforme all’idea del giusto assume dei contorni grotteschi.
La vitalità chiassosa e urlante della sua famiglia, gli appare sempre più recalcitrante e riottosa. La famiglia che ingloba ed espelle allo stesso tempo come una placenta primigenia e immutabile.
È solo la fine del mondo è un film sulle nevrosi familiari che Dolan sceglie di girare partendo da un testo teatrale di Jean Luc Lagarge mantenendo intatto il perimetro della piéce teatrale.
È stata una sua scelta quella di non edulcorare il testo:
Non mi importa che si senta il teatro in un film. Che il teatro nutra il cinema… non è forse vero che teatro e cinema hanno bisogno uno dell’altro?
Tanto vero che con questo film Xavier Dolan ha vinto il Grand Prix di Cannes 2016.
Il teatro appunto si “sente” nelle inquadrature close – up sui visi dei personaggi, restituiti nella loro forza espressiva, nelle smorfie nevrotiche, indecise tra l’accettare il “nuovo” arrivato e il tentare di modellarlo a proprio piacimento rischiando così di vederlo fuggire e abbandonarli di nuovo.
La dinamica dell’incomunicabilità
appare laddove i componenti della famiglia non perdonano e non si perdonano, oscillando tra affetto morboso e rigurgito di colpevolismo.
Un automatismo che si autoalimenta, rendendoli sordi al più profondo bisogno di confessione del figlio…
Louis si sente come quell’orologio a cucù nell’ingresso di casa e la scena di chiosa dell’uccellino sul sofà è una metafora poetica della sua libertà minacciata dal meccanismo sguarnito e ancestrale di un vecchio orologio a cucù…