Esce oggi, per la casa editrice Marcos Y Marcos, Donne che parlano, il nuovo romanzo di Miriam Toews, scrittrice canadese che con Un complicato atto d’amore aveva già affrontato il tema della religione mennonita, che troviamo anche al centro di questo nuovo lavoro.
Donne che parlano è la storia, brutale e feroce, di un gruppo di donne Mennonite che, in un piccolo villaggio della Bolivia, hanno appena quarantotto ore per decidere come comportarsi davanti alla consapevolezza di essere state vittime di abusi e stupri da parte di otto uomini della stessa comunità, molto spesso loro parenti. Due giorni per comprendere, dunque, come agire davanti alla crudeltà, all’indifferenza degli altri uomini, alla sensazione di essere state abbandonate.
Che cosa si fa, dunque, quando scopri di essere stata drogata, ingannata e stuprata? Si scappa davanti alla vergogna? Si resta e si fa finta di niente per quieto vivere? Oppure si decide di reagire? Ci si alza in piedi e si afferma, con la propria voce, il proprio diritto a esistere, a essere rispettata?
Donne che parlano ruota proprio intorno a questo concetto: l’importanza della denuncia, della comprensione del male subito. Le protagoniste del romanzo della Toews, all’inizio della storia, sono donne ancora aggrappate alla religione e alle credenze che hanno contribuito a formare non solo il loro carattere, ma anche il loro senso critico. Donne che hanno paura di parlare per timore di offendere un Dio che, in realtà, le ha già abbandonate. Donne che hanno sempre svolto un ruolo all’interno di una comunità che, pur avendole tradite, lasciando che accadesse l’indicibile, continua ad essere per loro un porto sicuro, i confini entro i quali sanno muoversi.
Piccole umanità confuse, spezzate, che si sentono lontane da ogni cosa: persino l’impossibilità di parlare la lingua del loro paese sottolinea questo grado di separazione che le fa sentire come granelli di sabbia dispersi nel vento di una giustizia che tarda ad arrivare. La Toews è bravissima a descrivere questi sentimenti contrastanti, questo bisogno di urlare la propria storia e il desiderio di nasconderla.
Il suo stile è suggestivo, pur non rinunciando all’aspetto più crudo della storia che ha scelto di raccontare. Ed è qui che Donne che parlano colpisce maggiormente: il lettore viene messo davanti ad una narrazione che non risparmia niente, che spinge fino ai limiti l’orrore, spingendolo persino verso l’infanzia, insozzandola di una tenebra che chi legge si sente strusciare addosso.
Mennonita lei stessa, Miriam Toews descrive con particolare perizia l’universo sociale in cui le sue donne si muovono, raccontando un mondo che sembra appartenere ad un’altra epoca storica e che invece fa paura perché è anche decisamente attuale.
Donne che parlano è una storia di conquista e rinascita, ma è anche una discesa nelle zone più oscure dell’umanità, in quella fascia spettrale in cui si nascondono demoni, paure e ingiustizie. La lettura di questo romanzo colpisce come un proverbiale pugno nello stomaco, afferrando con artigli pungenti la coscienza del lettore, trasportandolo in un mondo dove poesia e orrore vanno di pari passo, attraverso la ferocia di chi vuole vendetta e di chi anela dimenticare.
Una lettura dura, bellissima, che vi costringerà a trattenere il fiato, non riuscendo però a frenare le vostre lacrime.