Cristiano Petrucci ed il Pop Concettuale

1951

Esistono luoghi a Roma dove creatività, fantasia e passione si fondono, costituiscono le scelte di una vita. Cristiano Petrucci ha 38 anni vive e lavora a Roma, la sua Roma che non lascerebbe neanche per le strade di Berlino. Stanarlo nel suo atelier situato a Garbatella non è stato semplice, un viaggio complesso fatto di altri luoghi, un mondo invisibile dove l’arte trova rifugio.Cristiano ama descrivere il suo lavoro  con un termine suggestivo, lo definisce Pop concettuale dove la parola Pop non vuole evocare Warhol e la sua Factory ma richiama letteralmente  tutto ciò che è popolare, tutto ciò che ha a che fare con il nostro vivere quotidiano, senza intellettualismi di sorta, senza la presunzione di insegnare per forza qualcosa.

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Il linguaggio concettuale dell’artista parte dall’esperienza più comune che in questi ultimi anni vede ognuno di noi protagonista: l’idioma che caratterizza la rete dei social network. Cristiano analizza i segni della comunicazione non verbale, trasferisce nelle proprie opere le espressioni emozionali che caratterizzano il nostro linguaggio; le emoticon, quelle buffe faccine con cui ognuno di noi è abituato a parlare, diventano il punto di partenza per un’analisi profonda che descrive i cambiamenti della nostra società.

Le emoticon sono veicoli di emozioni, narrano sentimenti, impulsi, affetti, passioni, imprimono con un’efficacia indiscutibile il messaggio, lo rendono fruibile e immediato, sono i feticci sentimentali del nostro tempo.

Emotional è un progetto che analizza in modo efficace i cambiamenti che coinvolgono la nostra società, quali sono gli strumenti che ti hanno permesso di compiere questo percorso?

Per me l’artista ha un dovere fondamentale: parlare del mondo contemporaneo. L’idea di Emotional mi è venuta da internet, chattando. Era un momento in cui volevo cambiare, ero stufo di una pittura fine a se stessa, secondo la mia visione l’artista non ricalca più lo stereotipo del bohémien che soffre e che vive del suo dolore; la società vuole altro, cerca qualcosa di nuovo. Io non posso parlare solo di me stesso, io sento il bisogno di parlare di ciò che mi circonda, voglio sporcarmi con tutto quello che accade al di fuori, immergermi nella società, tra la gente, nel loro vivere quotidiano. Amo definire la mia arte “Pop concettuale” perché la mia volontà è che possa arrivare a tutti, senza discriminazioni di età e di condizione sociale. L’emoticon da questo punto di vista è uno strumento incredibile, un linguaggio universale che esprime un’emozione in modo diretto e veloce.

 Qual è il ruolo che deve assolvere l’artista nella nostra società?

La prima cosa di cui sono convinto è che l’artista deve essere iper lucido per assolvere il suo dovere nella società. Io voglio dare a tutti indistintamente la possibilità di interagire con la mia arte. Di recente questo è successo in un’esposizione dove ho partecipato (n.d.r. Foligno, Palazzo Candiotti) il tema da affrontare era il cambiamento e io ho pensato al cambiamento del colore, dal bianco e nero fino ai colori RGB usati per i monitor del pc, l’immagine chiave della mostra credo sia stata una bambina che ha posato le sue mani sull’opera, ecco anche quello è stato un metodo di interazione, chiunque può fruire del mio lavoro. Ho smesso da tempo di fare arte solo mia, mi interessa quello che mi circonda e il mio messaggio deve giungere a tutti senza distinzioni di sorta.

 Nel 1970 Christian Boltansky presenta un insieme di 270 scatole per biscotti di cui ognuna conteneva un momento della sua vita. Realizzando questo inventario di cose l’artista vuole sconfiggere la morte facendola svanire attraverso gli oggetti che rappresentano la sua identità. Per presentare questo progetto scrive che “l’artista, essendo lo specchio degli altri, tende a diventare universale, già morto e immortale.” Secondo la tua esperienza Cristiano cosa pensi della scelta di Boltansky di restituire al pubblico la sua identità attraverso un insieme di oggetti?

 Non sono d’accordo con questa scelta, non trovo che sia necessario trattenere gli oggetti.

La morte esiste perché giustifica la vita, permette all’uomo di condurre la propria esistenza secondo l’arbitrarietà delle proprie scelte. A differenza di Boltansky io non trattengo gli oggetti, penso siano piccole zavorre che ti porti dietro e che non ti permettono di andare avanti. Bisogna lasciare gli oggetti per formare la propria identità. Ho un’immagine in mente è come se stessi camminando su di un ponte e la strada che sto percorrendo si sgretoli mano a mano alle mie spalle, l’arte è una nascita continua che necessita un completo distacco dal passato.

Eppure è dei nostri giorni la fascinazione verso gli oggetti che provengono da altre epoche, mi viene subito in mente la passione per un certo gusto vintage…

Per me alcuni oggetti d’epoca sono opere d’arte, ci sono dei mobili del design anni ’60 che sono dei veri e propri pezzi da museo ma ripeto dall’oggetto mi libero con facilità, non ho alcun tipo di attaccamento.

Recentemente ho parlato con una scultrice (n.d.r. Francesca Romana di Nunzio) del continuo e ossessivo flusso di immagini a cui ormai siamo sottoposti quotidianamente, tu cosa ne pensi? È un pericolo per la creatività o è uno stimolo per poter cercare nuove rappresentazioni?

Non riesco ad essere critico, c’è sempre una creatività che scaturisce, esisterà sempre una genialità che spiazza e sorprende. Credo che l’uomo possieda un grande senso di adattamento, personalmente non trovo alcun pericolo; anche questo serve, anche attraverso questo continuo flusso ci si forma e ribadisco che il genio esce fuori, primeggia sulla banalità, sull’appiattimento visivo dato da questo bombardamento quotidiano di immagini.

 Io invece auspico ad un ritorno nella società dell’utilizzo della parola, mi rendo conto che l’immagine è un veicolo immediato di comunicazione ma credo che c’è la necessità di ritornare ad innamorarsi delle parole…

L’immagine ognuno può interpretarla a suo modo, con la scrittura è tutto differente.

Siamo consumatori di noi stessi, anche in questo caso penso il tutto faccia parte di un’evoluzione umana, è nel destino dell’uomo, nella sua natura.

Per approfondire la conoscenza del lavoro di Cristiano Petrucci fino al 26 novembre, presso la Ermanno Tedeschi Gallery di Roma, sono in esposizione alcune delle sue opere nell’ambito della mostra collettiva intitolata “Autumn Show”.

Info: http://www.etgallery.it/

 

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