Corro nudo di Tony Palazzo
Memoir agrodolce d’un uomo fuori posto
Sin dalle primissime pagine il lettore ritrova in Tony Palazzo, l’autore autentico, lasciandosi così trasportare nel dibattuto equilibrio tra la vita pubblica e quella privata. Un libro che diventa un diario (il termine deriva dal latino dies, giorno) ed è proprio partendo dal quotidiano che Palazzo tratta del suo registro ordinario (o straordinario), con una scrittura privata ed intima.
Finendo poi con l’annotare fatti storici e spaccati sociali. Un luogo intimo dello sfogo personale, non filtrato, ma dettato da un’intimità convulsa. Un vademecum per il futuro. Una forma circoscritta a fare chiarezza, quasi fosse di natura filosofica.
Pagina dopo pagina, senza ora anticipare nulla, l’autore permette di dare sfogo alle proprie emozioni, esprimendosi con veridicità, catapultando fuori ciò che è marcato dall’assenza e dalla sospensione.
Come diceva Virginia Woolf questo genere di letteratura è “una stanza tutta per sé”; una sorta di rifugio che se ben esplorato consente un raccoglimento, una meditazione, e nei migliori casi “liberazione ed ispirazione”. La scrittura stessa della presente confessione è una concretezza terapica che lascia emergere impressioni, attimi gocciolanti di passioni ed umori, involuzioni ed evoluzioni. Il testo, a tratti, si tramuta in poesia, proprio come lo è la vita, ora angosciante ora ideale, ora maestosa ora restrittiva, ora elettrizzante ora sconfortante… semplicemente “una fermata del singolare cammino, ben lontana dal capolinea”.
Tony Palazzo così scrive nelle note redazionali:
“Una mattina ti svegli, ti guardi allo specchio e non ti riconosci più.
Apri il rubinetto del lavandino e spaventato affondi la faccia nelle mani bagnate d’acqua. La sciacqui più e più volte per timore che non bastino a cambiare quello che hai già visto.
Scruti la tua faccia ancora bagnata riflessa nello specchio bugiardo e non capisci. Il vetro appannato non riesce a nascondere quel volto improvvisamente sconosciuto. E le gocce pesanti che vi scivolano sopra lasciano delle cicatrici che fanno male. D’un tratto, al diradarsi della condensa, vedi la tua faccia ancora bagnata, senti brividi di freddo e tutto ti è chiaro.
È la depressione, quel male a te sconosciuto, entrato nella tua vita come un gas inodore, silenzioso, devastante.
Hai dedicato metà della tua esistenza al lavoro dell’attore. Gli anni dell’accademia, il teatro, il cinema, poi più nulla.
Arrivi ai cinquant’anni e pensi di raccogliere il frutto del tuo lavoro, dei tuoi sacrifici, delle tue speranze, invece arriva il silenzio; e con il silenzio l’indigenza, il declino, la disperazione.
Ogni minuto che respiri diventa faticoso, ostile, insopportabile, perché non v’è logica e non capisci. Sei un combattente, ti aggrappi alla speranza, al pensiero dei tuoi genitori, all’amore incompreso della tua fidanzata, alla scrittura. L’umiliazione è però tanta e il tarlo della depressione intanto lavora. Gli anni passano inesorabili: uno, due, tre, non li conti più. Nessuno più ti cerca, nessuno più ti vuole per un lavoro, e dubiti di essere mai esistito. Sei sempre stato rispettoso, professionale, così come ti hanno insegnato quei vecchi maestri. Nulla. Devi avere sbagliato qualcosa o c’è in te qualcosa di sbagliato.
Gli anni diventano otto. Otto lunghi anni senza uno straccio di lavoro. Otto anni in cui ho indagato dentro di me. Otto anni in cui ho riso di me e ho avuto paura. Otto anni che ho tradotto in un libro dove passione e ragione si scontrano alla ricerca del sogno e della logica, senza tralasciare quell’ironia che mi è sempre stata compagna fedele.
E se qualcuno leggendo questo libro dovesse trarne giovamento sarebbe per me una grande gioia e giustificazione nell’averlo scritto.
Un libro del quale ne ho fatto anche l’adattamento teatrale, estraendone un monologo dedicato all’attore, un monologo duro, aspro, sanguinolento. E mano mano che prendeva “forma” sentivo che lo avrei potuto mettere in scena io stesso. L’idea di tornare a recitare, di respirare nuovamente quelle tavole di palcoscenico calcate con tanta passione agli inizi della mia vita d’attore, era già da sola linfa vitale; per tornare a vivere, a sperare e a ricominciare dal teatro che è esso stesso vita e logica della vita”.
L’autore
L’autore, nasce a Catania e si diploma come Attore all’Accademia del Teatro Stabile. Lavora in una decina di spettacoli teatrali, fra i quali “Il sindaco del rione sanità” di E. De Filippo nel ruolo del protagonista giovane Rafiluccio Santaniello, con la regia di A. Calenda e con Turi Ferro protagonista. La commedia viene insignita col Biglietto d’Oro AGIS come miglior spettacolo italiano nella stagione 1987/88.
Recita anche in 25 film con registi quali Gianni Amelio e Giuseppe Tornatore in “Porte aperte” e “L’uomo delle stelle”, entrambi nominati all’Oscar come miglior film straniero, e poi, fra gli altri, con Maestri quali Klaus Maria Brandauer e Carlo Lizzani. È anche fotografo e regista.
Vive a New York dal 1998 al 2000 ed è lì che realizza il primo lavoro come filmmaker. Il cortometraggio “Due Bravi Ragazzi” da lui diretto ed interpretato, partecipa a 130 festival nazionali ed internazionali (cento competitivi) vincendone nove tra cui il “Genova Film Festival 2006” Premio Kodak Miglior Cortometraggio Italiano e ricevendo in totale trentasette premi, fra questi il Premio di Miglior Attore al Festival Internazionale di Trevignano “La Cittadella del Corto 2006” e il Premio Kodak “Miglior Cortometraggio Italiano” al Circuito Off Venezia 2006.
“Il vecchio e la fontana” altro cortometraggio da lui diretto, partecipa a trenta festival: vincendo dieci premi tra cui il 1° Premio Miglior Film al “Big Screen Festival” 2007 a Yunnan in Cina e il 1° Premio Miglior Film al “Lavori in corto 2007” a Napoli e il Premio Speciale SIAE per la Migliore Sceneggiatura Italiana 2007”.
E’ stato presente nella selezione ufficiale al 53esimo Festival Internazionale di Taormina 2007.
Tony Palazzo esordisce nella scrittura con il presente libro.