Appassionati di storia e di scienza concedetevi un salto nella capitale danese durante la seconda guerra mondiale al cospetto di due tra le più grandi menti della fisica del nostro secolo.
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Copenaghen di Michael Frayn ritorna dopo cinque anni al Teatro Politeama Rossetti di Trieste il 18 e il 19 dicembre.
In scena tre personaggi: Niels Bohr e Werner Heisenberg, entrambi premi Nobel per la Fisica, e Margarethe moglie di Bohr. Vestiti in sobri completi dai toni grigi si presentano al pubblico immersi in uno spazio-tempo indefinito: quello dell’aldilà.
Adesso che siamo tutti morti e sepolti. Adesso nessuno può più essere ferito, nessuno può più essere tradito.
La scena ha le sembianze di un’aula universitaria con le gradinate a semicerchio e delle lavagne sul fondo a chiuderne il punto di fuga. Non c’è scampo. In questo luogo familiare e asettico, i personaggi sono chiamati a risolvere un problema. Ma stavolta non si tratta di un problema di fisica, bensì di un episodio a prima vista insignificante che si rivelerà essere cruciale nelle loro vite e in quelle dell’umanità.
Rivive in questa scatola di ardesia screziata dal bianco dei gessetti il ricordo del giorno in cui Heisenberg ebbe una conversazione segreta e misteriosa con il suo maestro Bohr.
E dentro la tua testa il passato diventa presente
Bohr – Curiosa specie di diario, la memoria.Heisenberg – Apri le pagine, e tutte le intestazioni chiare e gli appunti ordinati si
dissolvono intorno a te.
Bohr – Avanzi tra le pagine, tra i mesi e i giorni…
Margrethe – E dentro la tua testa il passato diventa presente.
Settembre, 1941, Copenaghen occupata dai nazisti. Heisenberg, fisico tedesco, giunge in Danimarca per tenere un convegno e coglie l’occasione per andare a trovare i coniugi Bohr, ebrei danesi. Gli preme parlare a tutti i costi da solo con Bohr, lo invita come ai vecchi tempi per una passeggiata dopo cena a Faelled Park e lì qualcosa accade.
Ma cosa accadde davvero durante quell’incontro? Di cosa parlarono? Il dramma di Frayn si fonda proprio sull’oscuro contenuto di quella conversazione.
In quegli anni sia Heisenberg che Bohr stavano lavorando ai fondamenti teorici della fissione. Erano entrambi impegnati su fronti diversi, scientifici e politici, al processo che portò alla costruzione della bomba atomica.
Ti chiesi semplicemente se come fisico uno aveva il diritto morale di lavorare allo sfruttamento pratico dell’energia atomica.
Fisica, Etica e Politica orbitano come elettroni attorno al nucleo testuale, fanno capolino e talvolta entrano in collisione, così come i tre personaggi.
La costruzione del testo e della messinscena è profondamente geometrica, triangolare. I protagonisti impegnati a risolvere questo delicato rompicapo sono sempre presenti, ognuno con la propria identità, e giocano facendo procedere a suon di rimpalli il ragionamento induttivo che porterà alla soluzione. O meglio, alle soluzioni giacché il punto di vista sulla vicenda è triplicato.
Uno spettacolo che non concede distrazioni
Un testo, quello di Michael Frayn, apparentemente difficile che la regia di Mauro Avogadro nomina protagonista assoluto senza però lasciare che il pubblico sia scoraggiato dalla mole di parole e di concetti. Copenaghen è uno spettacolo che non concede distrazioni, nel bene e nel male. Lo si deve seguire con pazienza nel suo svolgersi, con lo stesso gusto dello scienziato che aspetta di vedere il proprio esperimento riuscito. Lo si riesce a seguire grazie a un testo ben costruito e a una regia intelligente, ma soprattutto grazie alla bravura innegabile degli interpreti.Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice non vengono meno alla propria fama e si stagliano sul palco come tre giganti. Padroni impeccabili ed eleganti del testo e della scena. Sostengono senza alcuna difficoltà il ritmo volutamente elevato della recitazione perfettamente immedesimati nella materia e nei personaggi. Regalano al pubblico una performance di parola con tutto il suo immutabile fascino.
Copenaghen, una lezione a cui tutti dovremmo assistere.
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