Vorrei aprire la mia rubrica con una frase che qualche tempo fa, durante una manifestazione di protesta dei lavoratori del settore Spettacolo svoltasi a Roma davanti a Montecitorio, mi ha colpito molto; “Ci siamo mangiati anche i cigni?”.
Naturalmente decontestualizzata questa frase non ha molto senso ,ma letta in quel contesto di protesta solo del settore danza mi ha fatto sorridere e riflettere sulla grande inconsapevolezza da parte di molti che la danza, quindi il mestiere di danzatore-coreografo- insegnante, non è ancora visto come un lavoro “vero” e, di fatto, è poco tutelato o tutelato male dalla normativa italiana in materia di tutela per i diritti dei lavoratori.
Molto spesso nel nostro Paese ho l’impressione che tutto ciò che riguarda l’arte non venga percepito come una occupazione, ma bensì come una forma di svago hobbistico. Quindi c’è poca attenzione al dietro le quinte del settore, alle persone reali che devono come tutti arrivare a fine mese.
In altri paesi europei anche se la situazione non è perfetta, almeno si ha la dignità di fare un Mestiere e di essere tutelati meglio dalle politiche lavorative.
Ho scoperto poco dopo che il suddetto slogan era stato scritto dagli studenti dell’Accademia nazionale di Danza di Roma, la più prestigiosa istituzione nazionale per l’insegnamento della danza. Così ho cominciato a fare domande e ho avuto la possibilità di intervistare la Dottoressa MariaLisa Monna, docente storica dell’accademia di danza di Roma che mi ha colpita particolarmente, oltre per il suo innato talento, anche per il lato umano che volge ai suoi studenti.
Dottoressa, è tanto che insegna in Accademia?
Sono entrata all’Accademia Nazionale di Danza più di trenta anni fa, piuttosto giovane e appena laureata in Lettere con una tesi di Etnomusicologia sui canti politici del popolo napoletano.
Qualche anno dopo ho concluso anche i miei studi di Conservatorio, diplomandomi in Direzione d’Orchestra dopo aver studiato Composizione.
Nell’arco della sua carriera all’interno dell’accademia ha vissuto varie fasi. Ne esiste una che ricorda con piacere? E se si perché?
La fase più bella che ho vissuto in Accademia è stata senz’altro la prima, perché allora la scuola era un posto splendido, pieno di decoro e di bellezza, dove eleganza, serietà e organizzazione del lavoro erano espressi al massimo grado.
Ricordo che ero molto orgogliosa di lavorare lì e che il fascino e, direi, quasi la magia di quel posto all’Aventino – sulle vestigia di Nymphaea Tria, il complesso termale di età imperiale sul quale gli edifici dell’Accademia erano sorti – ogni giorno mi riempivano il cuore di una sottile felicità.
Giuliana Penzi, la direttrice di allora, era una persona di grande levatura morale, infaticabile e umile lavoratrice che aveva un passato di artista quasi leggendario del quale non parlava con nessuno, occupandosi della scuola con una dedizione e una passione che sono stati per me un grande esempio.
Scoprii quasi per caso, incorniciato con quattro legnetti da niente, il diploma d’onore che le fu dato da Laban assieme alla medaglia d’oro, alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Decisi di scrivere un libro sulla sua storia meravigliosa, che era poi anche la storia della stessa Accademia. Lo scrivemmo insieme – Giuliana dai capelli di fuoco, pubblicato dalla ERI edizioni RAI nel 1990 – e ebbi così il privilegio di conoscerla bene e di diventare sua amica. Per me e per Mauro, mio marito, compositore e insegnante anche lui dell’Accademia, Giuliana è stata una delle persone più affettuose e presenti della nostra vita.
Attualmente l’accademia che periodo sta vivendo?
Oggi l’Accademia versa in una crisi profonda, un po’ come tutto il nostro paese. E’ stata gestita senza il rispetto delle regole, senza il rispetto dello stesso luogo, oggi in pieno degrado, e nel dicembre scorso la situazione è esplosa.
Gli studenti sono consapevoli di questa situazione che stanno vivendo?
Gli studenti si sono resi conto che il disagio che vivevano è l’espressione di questa mancanza di regole e dell’arbitrio al quale tutto era esposto. E’ come se avessero aperto gli occhi anche sul brutto che li circonda, hanno compreso che sono inammissibili, soprattutto in un posto così splendido, tanta trascuratezza e tanto degrado.
La loro danza è diventata strumento di protesta e si sono fatti sentire per le strade e le piazze, hanno attirato l’attenzione della stampa e di tanti.
Purtroppo ancora non hanno ottenuto il cambio del vertice dell’Accademia perché è un posto affetto dai soliti vizi italiani. Ma la loro consapevolezza è del tutto diversa e all’interno degli organi istituzionali sono maggiormente protagonisti e si battono per non farsi sopraffare nelle decisioni che prendono assieme ai docenti, per ora con scarso successo.
Questo degrado in concreto cosa procura?
Corsi che non si attivano, esami mal gestiti, programmazione in ritardo e di scarsa qualità, aule fatiscenti con pavimentazioni sconnesse che hanno causato ferite, cumuli di immondizia e sporcizia che causa allergie di vario genere.
Un triste elenco.
Pensa che ci saranno tempi migliori in futuro?
Anche l’Accademia come l’Italia di questo passaggio storico così triste aspetta un tempo migliore.
Sono però ottimista e penso che non tarderà molto. In fondo, basta stare in ascolto attentamente: qualcosa sta cambiando.
Oltre ad essere una docente, lei porta avanti anche un suo percorso artistico ce ne vuole parlare?
In questi ultimi dieci anni ho scritto alcuni saggi che sono libri di testo per i miei allievi. E ho coltivato una grande passione: il teatro musicale e di danza. Assieme a mio marito ho creato lavori per questo tipo di teatro, con i miei testi e le sue meravigliose musiche sono nate delle opere multimediali, anche con il movimento e la danza. Un tentativo di far vivere la tradizione dell’opera italiana in chiave postmoderna.
Con alcune coreografe di grande bravura e talento, Mauro ed io abbiamo fatto la stessa esperienza: i miei testi pensati per una dimensione tutta sonora, le sue musiche e tanta danza.
Ottimi lavori che hanno vissuto per una sola stagione e che per le solite difficoltà economiche non si possono riprendere. Nè è possibile creare nuovi lavori, perché troppi sono i problemi e insormontabili.
Alla fine ne sei quasi vinto.
Ha un sogno nel cassetto?
Ecco, è presto detto, cosa desidererei per me e per gli artisti più giovani.
Molti anni fa c’erano associazioni, finanziate dallo stato, all’interno delle quali gli artisti potevano produrre lavori che in festival o in un stagioni di concerti pubblici potevano essere eseguiti.
Allora ci sembrava una piccola cosa. Non immaginavamo che rispetto ad oggi fosse invece una condizione addirittura invidiabile.
Una volta spariti i finanziamenti a queste associazioni piccole non è rimasto proprio nulla. E la creatività non trova più uno sbocco, una via percorribile
Speranze future?
In uno dei miei testi teatrali, tratto da un capitolo delle Storie di Erodoto, l’artista Arione, sulla nave che lo riporta in patria, dopo una fortunata serie di esibizioni, viene aggredito dai marinai che gli impongono di buttarsi in mare per potersi impadronire dei suoi ricchi guadagni. Prima di uccidersi, Arione chiede di cantare per l’ultima volta e i mascalzoni, cinicamente, sono ben contenti di esaudire la sua richiesta, apprestandosi a godere della sua ultima esibizione. Arione canta e si butta in mare dove un delfino miracoloso lo salva dal suo fatale destino, riportandolo a riva.
Ecco, la società oggi con gli artisti si comporta come quei marinai di cui ci narra Erodoto.
La mia speranza è che possa cambiare qualcosa e che si possa tornare esprimersi e a creare, secondo questa necessità che abbiamo dentro, insopprimibile.
Grazie Dottoressa Monna.