Fino al 7 febbraio il monologo Cassandra o dell’inganno di Elisabetta Pozzi porta l’incanto del Mito nel teatro Rossetti di Trieste
“Nel mio principio è la mia fine … nella mia fine è il mio principio” con questi versi Elisabetta Pozzi conquista il palcoscenico. Versi che provengono dalla poesia East Coker di T.S. Eliot pubblicata nel 1940. Versi pronunciati dalla donna che incarna Cassandra, la principessa e profetessa troiana. Eliot e Cassandra, due individui separati da centinaia e centinaia di anni di storia, eppure allo stesso tempo entrambi profeti. Due menti lontane eppure uguali nel vedere ciò che agli altri sfugge, nell’indovinare il futuro forse per incanto o forse semplicemente osservando il presente. Come la vista del cavallo conferma le previsioni di Cassandra, così il patto di Monaco tra Chamberlain e Hitler del 1938 rafforza i presentimenti di Eliot. La sciagura è imminente, loro lo sanno, lo gridano. Ma in pochi ascoltano.
Cassandra è un personaggio affascinante nella sua tragicità. Figlia del re Priamo e di Ecuba, principessa di Troia, sorella di grandi eroi quali Ettore e Paride, e grande sacerdotessa di Apollo. Proprio dal dio del sole aveva ricevuto il dono della preveggenza ed era stato sempre Apollo, dopo che lei gli si era rifiutata, a condannarla a non essere mai creduta nelle sue visioni. Cassandra infatti prevede la fine di Troia, ma non viene ascoltata. Dopo l’inganno del cavallo viene presa dal re acheo Agamennone come schiava. Salpano verso Micene, patria di Agamennone, dove la regina Clitennestra avrebbe ucciso sia lui che Cassandra. La giovane troiana tenta di avvertire il re del suo terribile fato, ma di nuovo viene zittita.
Elisabetta Pozzi, un’artista nel mito
Elisabetta Pozzi debutta a teatro a diciannove anni accanto a Giorgio Albertazzi ne Il fu Mattia Pascal e, nonostante diverse e importanti esperienze televisive e cinematografiche, il teatro rimane sempre e tutt’ora il suo templio sacro. Da Beatrice in Molto rumore per nulla a Elisabetta d’Inghilterra in Maria Stuarda, da Euripide a Hugo a Ibsen, la sua esperienza sul palcoscenico è formidabile. Un percorso lavorativo e di vita che sembra averla portata sempre più vicina, quasi in maniera ineluttabile, proprio a Cassandra. Elisabetta Pozzi finisce infatti per appassionarsi ai temi del Mito, tra autori classici e moderni. Recita nelle opere di Sofocle, Eschilo e Euripide, arrivando a interpretare Ecuba di Euripide nel 2006 e Clitennestra nell’Orestea nel 2014, e nel 2000 porta in scena Medea di Christa Wolf (autrice poi ripresa anche in Cassandra o dell’inganno). Fin dal 2011, poi, inizia la sua storia d’amore con Cassandra in particolare, mettendo in scena Cassandra – o del tempo divorato, fin d’allora con la collaborazione di Massimo Fini così come nell’odierno Cassandra o dell’inganno. Anno dopo anno, Elisabetta Pozzi ha vissuto e lavorato crescendo sempre più in armonia con la figura di questa magnetica e potente profetessa, fino ad arrivare ad oggi con Cassandra o dell’inganno.
Da Eschilo ad Euripide, da Seneca a Christa Wolf, da Omero a Ghiannis Ritsos, Pier Paolo Pasolini, T.S. Eliot e non solo. Elisabetta Pozzi prende un pezzo da ognuno di loro e li intesse tutti nel telaio del suo imponente monologo, scritto con Massimo Fini, alla ricerca della fisionomia di Cassandra. Assieme a lei visitiamo Micene, vediamo quelle rovine di antiche civiltà che racchiudono il “tempo puro”, un tempo non databile e irraggiungibile fatto di eroi, mostri e dei. “Un tempo perduto che solo l’arte riesce a riportare in vita”. Ed è attraverso l’arte, attraverso i versi di grandi autori e le proprie riflessioni, che Elisabetta Pozzi incarna Cassandra ripercorrendo i suoi ultimi momenti a Troia e il suo viaggio verso Micene.
Chi è la Cassandra di Elisabetta Pozzi?
In Cassandra vive l’ossimoro. È umana e allo stesso tempo ha capacità divine, trionfa perché infine ha ragione lei e le sue previsioni si avverano, ma la disillusione prende il sopravvento quando capisce di non poterne ricavare nulla. Gli altri vivono, combattono, sperano. Cassandra non ha il lusso di sperare, lei attende un finale già risaputo. Qui la sua forza, il suo stoicismo, il gusto dolce-amaro del sapere senza mai venire presa sul serio. Nessun eroe, per quanto forte, ricco e potente, può sfuggire al proprio fato. Achille muore, Ulisse vaga perduto, Priamo vede cadere i propri figli uno per uno. Ma solo lei soffre il doppio perché non solo non può scappare dal suo destino, ma è condannata anche a conoscerlo in anticipo e a procedere a fronte alta verso di esso. Nulla le è concesso, né la speranza, né un po’ di respiro quando sa già in partenza che la guerra è persa. Mentre tutti festeggiano, ciechi della propria imminente sventura, lei trema, da sola e additata come una pazza.
Cassandra evoca il fuoco di Troia mentre brucia, le urla e i lamenti che le rimbombano ancora nelle orecchie, e ne è lacerata, folle nel dolore come prima era considerata folle nella ragione. Cassandra è tutto e ogni cosa, e Elisabetta Pozzi riesce a darle una vita possente e viscerale con uno straordinario sforzo fisico, mentale ed emotivo. Avvolta nella sua lunga veste da profetessa, scalza, dalle sue labbra e dalle sue membra fuoriesce Cassandra, ma a tratti anche Agamennone, Clitennestra e sé stessa, Elisabetta, i suoi pensieri e le sue riflessioni. In un euforico turbinio, ride stralunata, s’infuria, non vuole più vedere, si mette le mani sulle orecchie, grida, canta una melodia dolce e sofferente mentre trattiene il pianto. Sono momenti di follia viscerale, rabbia, passione e dolore che catturano il pubblico in un intenso incanto e che sono alternati a momenti di freddo e lucido ragionamento, tra profezie e riflessioni su ciò che era, è e sarà. Infine ricava un insegnamento dal suo dolore: “è più facile punire chi annuncia una sciagura che chi ne è l’autore”.
(ATTENZIONE! QUESTA PARTE CONTIENE ANTICIPAZIONI DELLO SPETTACOLO)
Come si può diventare così ciechi?
Elisabetta Pozzi sfrutta con saggezza e sensibilità uniche il suo prezioso bagaglio di conoscenze. Grazie alle sue innumerevoli esperienze passate con i classici e i testi che ormai conosce profondamente, da Eschilo a Euripide, da Chista Wolf a Pasolini, dà vita ad una creatura penetrante, senza tempo nei suoi lineamenti immortali, eppure così moderna. Cassandra è il prototipo della donna intellettuale per Christa Wolf, libera, saggia e combattiva, come la stessa autrice che denunciava attraverso la letteratura il regime autoritario della Germania socialista. Una figura complessa e scomoda, che soffre la solitudine e il senso di inadeguatezza nel non essere creduta, ma che alla fine sopravvive perché lascia in eredità al mondo la sua vista e la sua sofferenza. Elisabetta Pozzi ce lo dice con grande saggezza, migliaia e migliaia di “Cassandra” nei secoli l’hanno succeduta, hanno percepito il loro mondo sfibrarsi e morire, ma spesso sono rimasti inascoltati. Parla di secoli fa, di ieri ma anche di oggi, della solitudine e dell’indifferenza, l’assenza di comunità, cultura, arte e ripete “come si può diventare così ciechi?”
Torna spesso il binomio “vista-cecità”, una cecità connessa al potere e alla paura, e ripete “come si può diventare così cechi?”. La preveggenza di Cassandra è una capacità ultraterrena o è la voce di migliaia di nostri compagni che cercano di metterci in guardia sui pericoli moderni e che noi decidiamo di ignorare? Il futuro ha le sue radici nel passato e nel presente, scorgere il domani non è altro che conoscere l’oggi con lucidità e saperlo leggere. Il racconto di Elisabetta Pozzi così esce dalle rovine di Troia e Micene per parlare della storia dell’uomo. Un uomo che è passato da una società in armonia con la natura, basata sul tempo ciclico delle stagioni e della vita, ad un tempo lineare, corrotto dal dio denaro e dal consumismo in una crescita infinita, tra guerre e tormenti moderni.
Un incanto fatto di luci e musica
Il palcoscenico è segnato dalla distruzione, sullo sfondo un maestoso drappo cade inclinato, il pavimento è disseminato di casse, stoffe e cornici vuote. Un disordine e una distruzione che albergano di riflesso anche nell’animo di Cassandra, ormai ridotta a “bottino di guerra” degli achei in mezzo alle rovine di Troia. E mentre racconta prende in mano le cornici vuote, ci gioca, ci entra con tutto il corpo o con il viso, e intanto continua a declamare, come se ogni cornice fosse il telaio dell’episodio narrato e Cassandra ne fosse il soggetto vivente.
Le musiche e le luci di Daniele D’Angelo sono state il coronamento perfetto di ogni scena. Giocando con le sfumature, alternandosi tra colori caldi e freddi, le luci hanno costruito un’atmosfera onirica e a tratti allucinata, sanguigna o fredda quando serviva. Le musiche si facevano trascinanti seguendo la passionalità di Cassandra e incitandola ancora di più, per poi farsi malinconiche e melodiose nei suoi momenti di raccoglimento, quando una luce giallognola e fredda illuminava lei sola sul palcoscenico. Incredibilmente potente è l’immagine di Elisabetta Pozzi quando veste i panni di Clitennestra. Clitennestra che accoglie a casa Agamennone, lo celebra inondandolo di complimenti mentre in sottofondo si svolge una musica trionfante ma allo stesso tempo carnevalesca, come a sottolineare la farsa in atto. La regina fa stendere ai piedi del marito tappeti di porpora, “un fiume di porpora”, mentre le luci si fanno sempre più calde, incandescenti, rosse e intense, sanguigne. Si consuma un’esplosione di pathos e tensione incredibile, che lascia gli spettatori in uno stato di eccitazione e incanto profondi.
I profeti di ieri e di oggi
Cassandra ci fa capire che nonostante tutto il loro potere, la loro audacia e la loro ricchezza anche questi personaggi sono intrappolati nella ragnatela del fato, le Moire, quella potenza così assoluta che neanche gli dei potevano combattere. La fugacità dell’uomo e della sua potenza, la spinta verso l’infinito e la crescita illimitata che porta alla distruzione, tutto ciò ci era stato predetto, ma tutti questi profeti vennero dichiarati pazzi e non vennero ascoltati. Usando una metafora pregnante, Cassandra-Elisabetta ci rivela che “l’uomo è un ragno in una immensa ragnatela di cui è l’unico prigioniero”, mentre dagli altoparlanti escono le voci dei profeti di ieri e di oggi, rimbombano, si accavallano. Cassandra parla, vede e teme la velocità alla quale stiamo crescendo, fino a che non avremo più via di scampo da un futuro che abbiamo divorato noi stessi. Lei prevede tutto ciò mentre fari di luce bianca accecante ci vengono puntati in faccia e la musica travolgente riempie la sala. E così non solo assistiamo ad uno spettacolo, ma viviamo il teatro come lo volevano i greci, come una catarsi esplosiva. Il teatro si fa maestro, diventa esperienza viva e penetrante, ci sprona ad ascoltare le voci di chi è venuto prima di noi e a interrogarci se stiamo ascoltando le parole di chi ci sta accanto oggi.
E infine spunta l’alba, ci dice Cassandra, c’è un nuovo giorno e ritornano gli stessi versi di Eliot che avevamo sentito all’inizio del monologo. Lo spettacolo finisce così com’era iniziato, come se ci volesse dire che alla fine la storia dell’uomo è una dolorosa e gravida ciclicità fatta di imperi che sorgono e che franano nell’eterno susseguirsi della vita. Cassandra o dell’inganno si rivela quindi un’esperienza sensoriale ed emotiva senza pari, che parla di una donna immortale nel suo mito ma anche dell’esistenza dell’intera umanità, ieri come oggi.