È Giulio Prandi a dirigere il capolavoro reso celebre da Carl Orff e lo fa nella suggestiva location del Castello di SanGiusto che diventa, in queste sere di estate incerta, la cornice perfetta per l’opera dei Carmina Burana.
Le manifestazioni estive spesso sono l’occasione, per chi durante l’anno ha poco tempo o ridotte opportunità, per regalarsi un momento per rigenerare lo spirito e fruire dell’offerta culturale delle città. Ed è anche per questo che la serata di ieri ha visto la cornice del Castello fare sold out, fatto quasi commovente a pensare solo ad un paio d’estati fa.
Carmina Burana, dall’inizio
Per chi non avesse mai assistito all’opera dei Carmina Burana, vale la pena di fornire qualche dettaglio che renda l’idea di quanto possa essere “moderno” un componimento vecchio di nove secoli.
Il nome “Carmina Burana” può essere tradotto come “canzoni di Beuern”, facendo riferimento al monastero dove sono stati scoperti questi manoscritti su pergamena. Si tratta di testi poetici, per lo più in latino, accompagnati da alcune illustrazioni miniate.
Si ritiene che la raccolta sia stata compilata nel XII o XIII secolo, ma alcune delle poesie potrebbero essere anche più antiche. La paternità di questi componimenti è attribuita ai cosiddetti clerici vagantes, ossia studenti con ordini minori che giravano l’Europa per motivi di studio.
I clerici vagantes, detti anche goliardi, sono figure importanti in un contesto di risveglio culturale grazie alle loro critiche alla curia e agli uomini di chiesa corrotti. Atteggiamento che è possibile ritrovare proprio nei Carmina.
Uno degli aspetti più noti dei “Carmina Burana” è la loro trasformazione in opera musicale dal compositore tedesco Carl Orff nel 1937. La composizione di Orff è una cantata scenica basata su una selezione delle poesie originali.
La tematica delle poesie varia ampiamente: alcune trattano l’amore cortese e la passione erotica, altre descrivono la vita dei contadini e i piaceri della vita mondana, mentre altre ancora affrontano temi filosofici, religiosi e morali. La varietà di argomenti e la loro espressione schietta e spesso umoristica rendono i Carmina Burana un’interessante testimonianza di come lo strumento della scrittura poetica possa essere usato, non solo come occasione di intrattenimento, ma anche di denuncia e riflessione, pur in un contesto chiuso e secolarizzato.
Il lavoro di Prandi restituisce quell’atmosfera autentica, forse la stessa ricercata da Orff, con le presenza di molti strumenti raramente usati come la raganella, i cymbali, i sonagli, campane tubolari, le nacchere, il tamburo basco. Va notato però come lo sforzo artistico non sia stato supportato, nella fase iniziale, da quello acustico.
È mancata infatti, almeno per la fase iniziale, quella sensazione di musicalità avvolgente in cui lo spettatore si sente al centro di tutto. Per ribaltare la situazione è stato sufficiente attendere la parte di In taberna, dove attraverso la narrazione del tumulto interiore del protagonista, tutto ha preso l’energia che ci si aspetta dai Carmina Burana, che ricordiamo essere “canti profani con strumenti e immagini magiche”.
In scena, a condurre il pubblico in questo viaggio nel tempo, ci sono la soprano Eleonora Bellocci, il contro tenore Filippo Mineccia e il baritono Vincenzo Nizzardo.
La restituzione del movimento scenico è stata affidata a Morena Barcone. In scena abbiamo assistito alla presenza di due cori, quello della Fondazione Giuseppe Verdi di Trieste, diretto dal Maestro Paolo Longo e la partecipazione del Coro del Friuli Venezia Giulia diretto dal Maestro Anna Molaro.
Bellissimo spettacolo. Dispiace solo di non aver visto il coro e di averlo sentito solo dagli altoparlanti.
La posizione del coro, totalmente sulla destra, ha permesso a pochi di godere appieno dello spettacolo.
Avrebbe dovuto essere sul palcoscenico!