Canto ha debuttato, il 22 Novembre, al Teatro Stabile Sloveno di Trieste, all’interno del Dance Project Festival. La regia firmata da Paola Pisani porta in scena il racconto in movimento delle atmosfere del Cantico dei Cantici.

Il Cantico dei Cantici

Canto si ispira liberamente al Cantico dei Cantici, uno dei testi più controversi contenuto nella Bibbia giudaico cristiana attribuito al celebre e saggio Re Salomone.
Questi versi lirici e inusuali per le Sacre Scritture narrano l’amore erotico e sensuale tra due innamorati.

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Lo spettacolo traduce in immagini le atmosfere del Cantico dei Cantici, infiltrandosi nella trama e restituendo un bassorilievo in movimento del racconto biblico.

Il bianco, il rosso e il nero

La performance si articola in tre sequenze ognuna delle quali è definita da un colore. La storia è quella di tre amori diversi, uniti dalla drammaticità degli epiloghi.

Canto
Canto – Dance Project Festival al Teatro Stabile Sloveno, Trieste © Fabrizio Caperchi Photography / La Nouvelle Vague Magazine 2017

 

Bianco. Bianco è il telo dietro a cui si muovono eteree senza sfiorarsi delle figure femminili che si frammentano, si moltiplicano, si ricongiungono come i suoni sui quali improvvisano. La storia è quella di Lilith prima sposa di Adamo, demone della tempesta, che non volendo sottomettersi al marito fu da lui ripudiata. L’atmosfera evoca l’origine, l’origine della natura e dell’uomo per mano della divinità.

Rosso. Rosso è il vestito indossato dalle tre danzatrici che irrompono voluttuosamente sul palco cosparso di foglie e improvvisano un amplesso carnale e rabbioso. Viene narrata qui la storia di Agar, una schiava concessa ad Abramo dalla moglie Sara per far nascere il figlio che lei non poteva donargli. I movimenti sprigionano l’erotismo di questo triangolo amoroso che sfocia però nella gelosia di Sara. Abramo è costretto ad allontanare Agar e suo figlio Ismaele. Il rosso rappresenta l’impulsività dell’uomo quando è rapito dagli istinti più bassi, momenti in cui è più lontano dal divino.

Nero. Il colore della pelle della Regina di Saba alla ricerca del suo amato Re Salomone. I corpi si mostrano in movimenti nervosi, l’armonia è spezzata. Si avverte che qualcosa è stato perduto, forse l’amato della regina, il suo diletto. Essa lo cerca e non lo trova.

 

 

Una voce recita:

Le guardie in ronda per la città
Trovandomi m’hanno battuta mi hanno ferita

Del mio velo mi hanno spogliata
Le guardie delle mura

O figlie di Gerusalemme io vi scongiuro
Se incontrate il mio amato
Che cosa gli direte?

Che io muoio d’amore

I tre colori si mescolano durante la performance, il bianco il rosso e il nero si muovono sulla stessa tela e sviluppano storie contemporanee in una pluralità di corpi. Le dodici danzatrici intrecciano i propri movimenti su più piani regalando immagini autonome, ma facenti parte dello stesso quadro.

Apprezzato lo sviluppo in più focus grazie al quale allo spettatore è concesso creare una personale storia a seconda di dove posi il proprio sguardo. Molto riuscita l’idea coreografica dei piccoli gruppi scultorei di danzatrici, impegnate in movimenti impercettibili, che riposano sullo sfondo delle vicende che si sviluppano al centro del palco.

La musica dalle tinte elettriche e elettroniche in perfetto contrasto con l’ambientazione calda e vagamente orientale regala suggestioni cariche di pathos per tutta la durata dello spettacolo.

La poetica della coreografa Pina Bausch è reinterpretata timidamente, ma pur sempre con effetto. Le donne vestite di drappi bianchi che sorreggono rami pesanti e nodosi sono sicuramente una delle immagini più potenti della performance, assieme all’assolo di una danzatrice, sola con il suo specchio e il suo tormento per la perdita dell’amato.

In essa troviamo il cuore dello spettacolo: l’amore vissuto da donne forti che trasformano con il proprio corpo il dolore in un inno, in Canto.

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