DOC/IT CHIEDE ALLA COMMISSIONE DI VIGILANZA PARLAMENTARE SULLA RAI DI PREVEDERE OBBLIGHI PRECISI SUI DOVERI DEL SERVIZIO PUBBLICO.

L’ultima occasione per definire i compiti della RAI per i prossimi 10 anni sta per svanire. Il Parlamento Italiano sta per licenziare la convenzione che affida alla RAI il ruolo esclusivo di Servizio Pubblico, ma il testo dimentica di indicare i doveri essenziali verso la produzione indipendente che sono invece centrali in tutte le altre televisioni pubbliche europee.

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Doc/it denuncia in particolare che RAI ancora una volta non è chiamata in modo esplicito ad investire nel documentario e nella produzione indipendente, con l’inevitabile conseguenza di impedire alla produzione audiovisiva del nostro paese di competere sui mercati internazionali. Se la Commissione di Vigilanza non interverrà per correggere questa grave anomalia del testo, l’intero comparto dell’audiovisivo italiano sarà tagliato fuori dai mercati e dalle coproduzioni europee per i prossimi 10 anni!

Di seguito la Memoria Doc/it relativa all’audizione in Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi del 22 marzo u.s.

Memoria Doc/it

Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Audizione svoltasi il 22 marzo 2017

Il Documentario, nei suoi vari generi e destinazioni d’uso, dal cinema del reale destinato alle sale cinematografiche, al documentario televisivo di genere scientifico, storico, naturalistico, fino alle nuove frontiere della docu-fiction e del racconto seriale, è oggi un macro genere, il “factual” ai primi posti nella industria mediatica internazionale per successo, produzione ed investimenti, tranne che nel nostro paese.

Eppure il documentario nelle sue varie tipologie e declinazioni permette meglio di ogni altra forma narrativa di raccontare la realtà del nostro paese: uno dei compiti centrali cui il Servizio Pubblico è chiamato ad assolvere, informare e aiutarci a riflettere sulla realtà che ci circonda.

Il documentario è anche lo strumento ideale per raccontare ed esportare nel mondo la cultura, l’arte, la storia, la scienza e il territorio nazionale contribuendo in modo determinante ad affermare il ruolo che l’Italia ha nel mondo.

Il documentario oggi svolge un ruolo centrale in tutti i sistemi televisivi pubblici europei. Da un punto di vista economico è un prodotto ad alta utilità ripetuta, un genere che richiede investimenti decisamente limitati, soprattutto se paragonati a quelli necessari per il cinema e la fiction televisiva. Ma anche e soprattutto è un genere che si presta ad essere esportato all’estero sotto forma di coproduzione e/o pre-vendita.

In Gran Bretagna per ogni sterlina investita sul documentario ne tornano indietro 3 dalla sua commercializzazione all’estero. Per tutte queste ragioni i servizi pubblici europei investono somme significative nella produzione di documentari affidandoli ai produttori indipendenti.

E in Italia? Fino ad oggi RAI ha costituito una vera e propria anomalia. Il nostro Servizio Pubblico investe somme sempre più limitate nel “factual” e nonostante che il documentario “made in Italy” abbia conquistato riconoscimenti internazionali senza precedenti, la RAI continua a non investire nel genere, limitandosi a comperare all’estero la stragrande maggioranza dei documentari che trasmette, del tutto sorda al compito di adoperarsi per contribuire allo sviluppo dell’industria audiovisiva nazionale con il benefico effetto sulla bilancia dei pagamenti che una simile politica potrebbe avere.

A dirla tutta, RAI non rispetta nemmeno gli obblighi previsti dall’art. 44 del TUSMAR che prevede che il 15% dei ricavi complessivi da abbonamenti e pubblicità venga investito in opere europee, e una sotto-quota del 20% riservata alle opere di espressione originale italiana.

AGICOM ha in corso un procedimento contro RAI (e Mediaset) perché non rispettano le quote di investimento in produzione indipendente. In un maldestro tentativo di rientrarci RAI ha cercato perfino di infilarci i costi di San Remo!

San Remo a parte, RAI non ci ha mai fornito i dati relativi al settore documentario. Perché tanta reticenza? Perché RAI da sempre usa soluzioni di comodo per raggiungere gli obiettivi, come quella di spacciare i “contenitori” che trasmettono documentari come ore di produzione originale anche quando i documentari che trasmettono sono invece acquistati all’estero.

Nonostante i molti incontri che Doc/it ha avuto negli anni con la direzione generale di RAI, e i molti sforzi fatti per inserire regole più stringenti nei vari contratti di servizio che si sono succeduti, i documentaristi italiani non sono mai riusciti ad ottenere che il Servizio Pubblico Italiano si allineasse con i suoi omologhi europei e nemmeno che rendesse pubblici i dati sul rispetto delle quote di produzione europee e sotto quota di produzione nazionale. Non siamo mai neanche riusciti ad ottenere che venisse istituito il Dipartimento del Documentario, cioè una struttura analoga a quella di RAI Fiction o RAICINEMA che permettesse di programmare la produzione di documentari.

Nonostante i tempi necessari per la realizzazione di un documentario si articolino su diversi anni, i produttori indipendenti che presentano un progetto in RAI, si sentono immancabilmente rispondere che l’azienda non è strutturata per finanziare e/o coprodurre un documentario che non sia pronto nel giro di pochi mesi e che non sia già previsto in palinsesto con una matricola attiva (il centro di costo del programma – spesso un “contenitore “– al quale il documentario verrebbe attribuito).

In sostanza i documentaristi Italiani si trovano sempre a dover proporre i propri progetti alle televisioni europee senza poter mai contare sull’appoggio di RAI, che quindi viene regolarmente meno a quel ruolo che è proprio di tutti i servizi pubblici europei. 

Unica eccezione a questa regola di comportamento aziendale è costituita da RAICINEMA. Da quando alcuni documentari sono stati finalmente riconosciuti film a tutti gli effetti, ha cofinanziato insieme ad altri soggetti ed istituzioni nazionali ed internazionali alcuni filmdocumentari, come quelli di Gianfranco Rosi (Sacro GRA e Fuocoammare). Una chiara dimostrazione di come il documentario abbia le carte in regola per arrivare a livelli di eccellenza meglio di altri generi, se pure con una quota di investimento RAI minoritaria. E di come ai produttori indipendenti italiani basterebbe poco per innescare un processo virtuoso, visto che nel corso degli anni sono stati in grado di creare una rete di rapporti internazionali che ha permesso loro di costruire coproduzioni con Broadcaster esteri e fondi europei.

Ma affinché questi non siano solo casi fortunati e sporadici, bensì diventino una prassi produttiva, serve che il Servizio Pubblico renda note per tempo e in modo trasparente le linee editoriali che intende perseguire, dichiari senza reticenza i livelli di finanziamento che è pronta ad investire così come avviene in Francia, Inghilterra, in Germania e negli altri paesi europei. 

Riteniamo quindi che la Convenzione dovrebbe prevedere l’obbligo per la concessionaria del servizio pubblico di adoperarsi per garantire al Produttore Indipendente Italiano condizioni economiche e contrattuali che lo mettano in grado di poter competere con i propri corrispondenti stranieri e accedere ai finanziamenti europei su di un piano di sostanziale parità. Siamo convinti che questo avrebbe significative ricadute economiche e culturali sul sistema paese.

La nuova concessione deve fare riferimento esplicito al prodotto documentario realizzato dai produttori indipendenti vincolando esplicitamente RAI a intraprendere una strada simile a quella scelta da BBC per promuovere la produzione indipendente. Facciamo notare che già oggi BBC affida in modo trasparente oltre il 50% dell’intera produzione ai produttori esterni (contro il 15% richiesto a RAI e a neanche rispettato, a giudizio di AGCOM).

Doc/it chiede quindi con forza alla Commissione di Vigilanza Parlamentare sulla RAI di non permettere che la nuova concessione venga varata senza introduzione di obblighi stringenti e precisi sui doveri del Servizio Pubblico. Sappiamo per esperienza diretta e ripetuta che rimandarli alla scrittura del contratto di servizio significa sostanzialmente perdere l’occasione giusta per intervenire nella sede idonea, permettendo all’inerzia della struttura burocratica RAI di aggirare la missione propria del Servizio Pubblico per l’intera durata della concessione (come è regolarmente avvenuto nel passato ad ogni rinnovo del contratto).

Vorremmo inoltre far presente che se la nuova concessione RAI perdesse l’occasione per guidare il Servizio Pubblico in questa direzione, finirebbe per vanificare anche buona parte degli effetti positivi della nuova legge cinema sulla crescita del settore audiovisivo italiano. In tutti i paesi europei il ruolo del Servizio Pubblico è stato essenziale per promuovere la produzione documentaristica indipendente nazionale ed europea.  Laddove lo ha fatto con più convinzione, come in Francia, Germania e soprattutto Gran Bretagna, il documentario ha dimostrato non solo di raggiungere alti livelli qualitativi ma anche e soprattutto di saper conquistare fette consistenti del mercato internazionale.

A questo proposito suggeriamo due modifiche alla lettera “b” e “d” dell’articolo 3 del testo attuale: 

  1. b) un adeguato sostegno allo sviluppo dell’industria nazionale dell’audiovisivo mediante l’acquisizione o la co-produzione di prodotti di alta qualità, realizzati da o con imprese che abbiano stabile rappresentanza in Italia, anche al fine di una loro valorizzazione sui mercati esteri. Il contratto nazionale di servizio dovrà definire durata e ambito dei diritti di sfruttamento radiofonico, televisivo e multimediale negoziabili dalla società concessionaria; Il contratto dovrà inoltre definire modalità negoziali trasparenti, tali da favorire la competizione creativa tra i produttori indipendenti con tempistiche adeguate a sviluppare e costruire coproduzioni internazionali. La concessionaria del servizio pubblico deve adoperarsi per garantire ai Produttori indipendenti italiani condizioni economiche e contrattuali adatte a competere, su di un piano di sostanziale parità, con i propri corrispondenti europei, e che consenta loro di accedere ai finanziamenti Media.
  2. d) un numero adeguato di ore di diffusione di contenuti audiovisivi dedicati all’educazione, all’informazione, alla formazione, alla promozione culturale, con particolare riguardo alla valorizzazione delle opere teatrali, cinematografiche, televisive in particolare opere a carattere documentaristico nelle sue varie forme e declinazioni anche in lingua originale, e musicali riconosciute di alto livello artistico o maggiormente innovative; tale numero di ore è definito ogni tre anni con deliberazione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; dal computo di tali ore sono escluse le trasmissioni di intrattenimento per i minori. La diffusione dei contenuti audiovisivi suddetti dovrà essere realizzata in modo proporzionato, in tutte le fasce orarie, anche di maggiore ascolto, e su tutte le piattaforme distributive non a pagamento di prodotti audiovisivi.

Questo è un comunicato stampa, pertanto le immagini sono fornite dall’Ufficio Stampa dell’artista/manifestazione. Si declina ogni responsabilità riferibile ai crediti e riconoscimento dei relativi diritti.

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