Si è parlato molto di “Morte di un commesso viaggiatore”, testo di Arthur Miller che dal 1949 ad oggi ha continuato ad essere rappresentato con successo.
Al Rossetti di Trieste, in scena fino a domenica 19 febbraio, anche la versione di Elio de Capitani nei panni di regista e attore protagonista, sarà molto chiacchierata.
Anticonformista, “Morte di un commesso viaggiatore” sembra rompere tutti gli schemi, uno dopo l’altro: in primis, si tratta di tre ore e venti di rappresentazione che si aprono con un nudo.
E non è l’unica scena con parti intime “non censurate”, forse proprio a volontà di dissestare gli spettatori, che, tra sguardi increduli e risatine imbarazzate, non possono più sentirsi dentro quella “bolla” di protezione.
E abbassata la nostra guardia, ecco che Elio de Capitani, attraverso il suo personaggio Willy Loman, ci assesta una serie di colpi: un crescendo di depressione e follia, tra il parlare da solo al rivivere ricordi attraverso le sue stranianti allucinazioni, dove i personaggi del suo passato si mischiano e fondono col presente.
La conclusione è piuttosto intuitiva, d’altronde si tratta di un commesso viaggiatore che sprofonda nella depressione a causa di recenti accadimenti.
Se questi si vanno a sommare a rimpianti e rimorsi, asti e rancori che l’uomo si porta dietro da tutta la vita, il risultato non può essere che un cocktail esplosivo che lo conduce, comprensibilmente, alla sua decisione finale.
Nonostante quindi, si possa facilmente immaginare l’epilogo, guardando questo spettacolo prosastico, si ha la sensazione di aver bisogno di voler continuare per arrivare al “come” tutto ciò accade, si è come assetati, per l’intrigante storia di Miller, da tutti gli scabrosi scandali del passato di Willy e delle persone che stanno intorno a lui.
Un appunto, invece, è da fare sulla gestione della tempistica.
C’è stato tempo sufficiente a scandagliare e approfondire ogni personaggio, certo, ma la scelta del regista di richiedere al pubblico ben più di tre ore di concentrazione, sta sul filo di una lama.
Si è visto, infatti, l’impegno per mantenere il ritmo veloce e un susseguirsi di scene fluido, che risulta piacevole e aiuta a mantenere il fiato sospeso, ma ci sono stati diversi momenti -come è umano che succeda ad un cast di attori- in cui il ritmo rallentava anche di poco, e seguire risultava quasi pesante, quindi l’attenzione generale verteva altrove.
Non a caso, tra il primo e il secondo tempo, il numero delle persone in sala era sceso.
Una nota positiva è stata la cura messa nel distinguere le scene di allucinazioni dalla realtà, nonostante queste, spessissimo, avvenissero in contemporanea.
Penso che la scelta del cambio di luci sui toni del verde, abbia fatto la differenza, ed è stato un bene perché il rischio di distruggere il filo logico dello spettacolo era alto.
Per quanto riguarda i personaggi, Elio de Capitani si è cucito bene il suo ruolo addosso, risultava davvero credibile, ma, su palco, non c’era solo il protagonista.
Fra tutti gli attori di davvero alto livello, vorrei approfondire l’unico dubbio sorto, sul personaggio della moglie di lui, (Cristina Crippa), che, a tratti sembrava perfettamente in linea con le caratteristiche psicologiche che potrebbe avere un personaggio che ha vissuto la sua storia e fatto le sue scelte, e a tratti sembrava caricaturale, quasi fuori posto, e mi chiedo se fosse voluto o fosse stato un problema di immedesimazione dell’attrice.
Ultimo ma non ultimo, un applauso a Angelo Di Genio (il figlio maggiore del commesso, Biff), che è stato semplicemente perfetto. La sua interpretazione del turbamento, della rabbia e della commozione, è arrivata tutta quanta al pubblico. Non per nulla è stato il più applaudito in sala.