Il 15 settembre una delle più grandi tragedie di William Shakespeare, Macbeth, ha conquistato il pubblico del Globe Theatre.
Fino al 1 ottobre l’opera, tradotta ed adattata da Daniele Salvo, avvolgerà il teatro di Villa Borghese in una fredda e cupa Scozia medievale, tra ambizione, esoterismo e brama di potere.
La scena si apre su un campo di battaglia dove valorosamente combattono le forze di Norvegia e Irlanda, guidate da Macdonwald contro i soldati di re Duncan (Carlo Valli), tra i quali spiccano per il loro coraggio e la loro prodezza Macbeth (Giacinto Palmarini) e Banquo (Francesco Biscione).
Questi ultimi, dopo aver sconfitto gli avversari, intraprendono la via del bosco per far ritorno a casa quando, nelle tenebre della fitta vegetazione, appaiono tre streghe (Silvia Pietta, Giulia Galiani e Francesca Mària) che con premonizioni e profezie svelano ai due uomini il loro futuro. Con voce stridula proveniente da un mondo oscuro e lontano accompagnano Macbeth nei suoi pensieri più maligni e tormentati, accendendo quella brama di potere che da sempre lambisce il suo nobile animo.
La vera artefice del destino dell’uomo
Ma la vera artefice del destino dell’uomo è Lady Macbeth, una donna potente e nevrotica, che con un’inquietante e insaziabile ambizione spinge il marito a inseguire i suoi desideri più oscuri e malvagi, guidando la sua mente e la sua mano nell’assassinio del re.
Lady Macbeth, magistralmente interpretata da Melania Giglio, domina la scena accecando il marito e conducendolo verso le sue ambizioni più segrete, con un animo divorato dalle contraddizioni, una frenesia che la spinge al di là di ogni limite, un’insoddisfazione perenne e una forza che annienta l’essenza umana.
Macbeth inizialmente appare forte e sicuro, ma poi incubi e visioni lo tormentano, sprofonda nelle sue stesse fragilità, non riuscendo a mantenere quella fredda e disinvolta apparenza che caratterizza sua moglie.
Ma, alla fine, anche quest’ultima nelle notti sonnambule mostra le sue debolezze, svelando così una coscienza ambigua e contraddittoria.
Lo spettacolo rivela, ancora una volta, la potenza di questa tragedia senza età che si snoda tra insidie, paure, desideri e rimorsi che flagellano l’animo umano fino a ridurlo a un involucro freddo e vuoto in una notte perenne. Non c’è speranza, né grazia in questa “fiaba marcita” come viene chiamata dal regista.
E in un’atmosfera buia e inquietante il pubblico rimane, anche oggi, turbato di fronte al dramma della fragilità umana.