di Ines Cannarso
foto di Luca Carlino
Giunto alla sua terza edizione il Festival di street art Memorie Urbane ha preso il via lo scorso 3 aprile portando lungo il litorale pontino, fino a tutto il mese di luglio, numerosi artisti catalogandosi anche quest’anno come uno dei Festival più interessanti ed eclettici del panorama nazionale. Molteplici le novità che caratterizzano questa edizione, innanzi tutto quelle riguardanti il territorio. Oltre alle cittadine di Gaeta e Terracina, già coinvolte nelle scorse edizioni, l’evento di quest’anno vedrà la partecipazione anche dei comuni di Itri, Arce, Latina, Fondi e Frosinone che diverranno teatro di molteplici interventi in seno al tessuto urbano.
Partito, nella sua prima edizione 2011, con un parterre di soli quattro artisti, il festival quest’anno ha allargato i suoi orizzonti coinvolgendone 22 provenienti da diverse parti del mondo, alcuni dei quali interverranno per la prima volta in Italia con le proprie opere. Un variegato elenco di nomi tra cui spiccano: David de la Mano (Spagna), Martin Whatson (Norvegia), Eime (Portogallo), Etam Cru (Polonia), Seth (Francia) Alexey Luka (Russia), Millo (Italia) e le conferme Alice Pasquini, Agostino Iacurci, Borondo e Hyuro già impegnati nelle passate edizioni.
Parallelamente diversi gli eventi collaterali che vedono la street art aprirsi agli spazi espositivi delle gallerie. A Latina presso l’associazione Aus + Galerie sarà ospitata fino al 2 giugno la personale dell’artista Aloha Oe, mentre la cittadina di Fondi promuove l’appuntamento, presso lo spazio Basement Project Room, con il duplice progetto espositivo di Etnik e Millo.
Un panorama frastagliato quello di Memorie Urbane che con lo slogan “la città cambia volto” offre numerosi spunti di riflessione su come la street art, nell’arco degli ultimi anni, abbia generato nuove concezioni espressive nell’ambito del tessuto cittadino e di come ne sia divenuta sempre più protagonista.
Dalla nascita del movimento dei graffiti nato negli anni 60 negli Stati Uniti, passando per le icone come Keith Haring e Banksy, che hanno fatto dello spazio pubblico il proprio approccio artistico privilegiato, l’arte come processo di riqualificazione urbana è un fenomeno ancora tutto in divenire.
In un ambito sempre mutevole, le città virano contestualmente le proprie esigenze di cambiamento generando, oggi più che mai, la volontà di una partecipazione attiva da parte della cittadinanza nel cercare di risolvere le problematiche relative alla riqualificazione delle aree territoriali. In questo processo di trasformazione urbana si inserisce anche la street art che, seppur nata sotto il segno dell’illegalità e in forte contrasto con le autorità, ricerca oggi in maniera sempre più decisa un dialogo con gli enti istituzionali che commissionano agli artisti opere deputate agli spazi pubblici.
In seguito a questa sempre più frequente attitudine degli artisti di intervenire con approcci artistici eseguiti su commissione si impone di prendere in considerazione l’eventualità di una valorizzazione e conservazione delle opere eseguite in ambito urbano. In seno a queste continue trasformazioni che ruotano attorno all’arte urbana emergono contestualmente molteplici quesiti che attendono ancora risposta.
Un tentativo per colmare queste lacune è stato fatto lo scorso sabato 24 maggio alla Conference “The Future of Identity” , che ha arricchito il calendario di Memorie Urbane con un incontro che ha visto coinvolti critici d’arte, esperti del settore, artisti e semplici appassionati. Ospitata nella cornice della pinacoteca d’arte contemporanea Giovanni da Gaeta, la conference è stata organizzata e coordinata dalla Dott.ssa Alessia Carlino. Storica dell’arte specializzata nella conservazione e catalogazione dei beni culturali, la Dott.ssa Carlino ha invitato ad una riflessione critica sulla tutela e la conservazione dell’arte urbana creando un’inedita visione su quella che forse è l’arte effimera per antonomasia.
Ad aprire il dibattito è stata la Dott.ssa Paola Artoni funzionaria presso il centro LANIAC UniVr ed esperta di tecniche di conservazione e restauro. La riflessione della Dott.ssa Artoni si fonda sulla possibilità di conservare ciò che è per sua natura effimero, quali modalità per progettare una conservazione della street art mediante tecniche offerte dalla diagnostica non invasiva e attraverso lo studio dei materiali da utilizzare a seconda delle differenti superfici su cui l’artista andrà ad operare. Una lucida analisi che, partendo dalle tecniche diagnostiche e conservative legate all’arte antica, cerca nuovi sbocchi applicati alla street art e all’arte contemporanea, una riflessione tutt’altro che semplice attorno a cui ruotano problematiche ancora da sondare.
In merito alla caducità della street art e alla sempre più insistente domanda di conservazione della stessa è intervenuto, in collegamento Skype da Parigi, Christian Omodeo ricercatore e fondatore della piattaforma digitale Le Grand Jeu.
Secondo Omodeo le nuove relazioni con le istituzioni e il sistema dell’arte ha rivoluzionato la natura stessa dell’arte pubblica portandola ad avvicinarsi sempre più ad una maggiore fascia della popolazione, ma depauperando quella che dovrebbe essere la natura pubblica e fuori dai circuiti istituzionali degli interventi stessi. Una possibile soluzione riguardante la conservazione delle opere dovrebbe essere fatta in seguito alla richiesta dell’artista che, intervenendo con un’opera su commissione, richieda in maniera specifica che l’opera venga tutelata e conservata. Un esempio in merito ci viene dal passato esattamente nel 1989, quando Keith Haring completando il suo murale sulla parete esterna della chiesa di Sant’Antonio Abate a Pisa realizzò “Tuttomondo”. Un’opera monumentale, realizzata con l’aiuto di artigiani e studenti della zona, pensata per essere permanente da parte dell’artista, un dono indelebile a tutta la cittadinanza. Seguendo questa volontà la Fondazione Haring, nel 2011 ha realizzato un progetto di restauro e conservazione dell’opera muraria, il primo intervento su opera pubblica avvenuto nel nostro Paese.
In conclusione al convegno sono intervenuti Pietro Rivasi, fondatore del Festival Icone Modena e Fijodor Benzo responsabile dell’associazione culturale “ Il Cerchio e le Gocce” di Torino.
Entrambi con un background di artista, Rivasi e Benzo hanno portato sul tavolo del dibattito le esperienze relative alle proprie città: Modena e Torino. In un ambito in cui istituzioni si fanno promotrici di eventi legati alla street art o al writing, spiega Rivasi, con l’intento di riqualificare spazi urbani, gli artisti che lavorano autonomamente al di fuori dei circuiti istituzionali sono spesso considerati vandali che deturpano il tessuto cittadino. In seno a questa sempre emergente dicotomia si viene a creare una spaccatura e a snaturare il significato originale del fenomeno street art.
D’altronde, come ci riporta l’esperienza torinese di Benzo, le organizzazioni che realizzano eventi legati all’arte urbana tentano di affinare sempre più le ricerche affinché le opere possano essere conservate al meglio, partendo dalla scelta dei materiali di qualità, fino ad arrivare ad offrire i mezzi necessari alla cittadinanza, come ad esempio la mappatura delle opere presenti in città, per fruire in modo ottimale delle opere esistenti e per essere in qualche modo partecipe a quelle che si realizzeranno in futuro.
L’arte come valore aggiunto potrebbe infine rappresentare la chiave di lettura che genera un dialogo tra tutte le parti interessate. Un codice linguistico che un genio come Keith Haring ha così descritto: ” Mi è sempre stato chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi. L’arte è per tutti e questo è il fine per cui voglio lavorare”.
Info su: www.memorieurbane.it