Dal 23 al 25 novembre il teatro Rossetti di Trieste sarà scenario di coinvolgenti sperimentazioni e un divertimento contagioso con La lingua virale di Diego Marani

Silenzio in sala, la conferenza sta per cominciare. E su cosa verterà questa conferenza? Dottori e specialisti sono arrivati da tutto il mondo per parlare del grande “problema” e per trovare una soluzione. Si parla del temibile Europanto, lingua ibrida ottenuta dal mescolamento di diverse lingue europee. Questo caos linguistico è una deprecabile malattia che affligge soprattutto chi vive vicino ai confini nazionali e che porta confusione nella mente e nella lingua del malato, non permettendogli più di attenersi solo e unicamente al proprio idioma, com’è giusto che sia. Diverse lingue e culture oltrepassano i confini, entrano in contatto, si mescolano e si scambiano parole, significati, intonazioni. In quanto malattia c’è il rischio che infetti sempre più persone, ma per fortuna è curabile e i nostri specialisti sul palcoscenico ce ne daranno una dimostrazione. Ecco che inizia “La lingua virale”, nuova produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia con il sostegno della Regione FVG per GO!2025.

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L’Europanto di Diego Marani

È di questo che tratta, ovviamente in forma ironica, “La lingua virale”, testo scritto in Europanto da Diego Marani. Diego Marani, il creatore stesso della varietà linguistica, negli anni ha lavorato in diverse posizioni presso l’Unione Europea, tra cui quella di coordinatore della diplomazia culturale europea presso il Servizio europeo di azione esterna. Si può dire che il lavoro di Marani consiste proprio nell’avvicinare lingue e culture. Appare quindi subito chiaro come un uomo dalla spiccata sensibilità linguistica, sociale e umana abbia potuto dare vita all’Europanto, la giocosa ma rivoluzionaria lingua ibrida. E non si dica che è un semplice progetto teorico o un’utopia tutta astratta, dato che Marani l’ha usato persino per tenere rubriche su diversi quotidiani internazionali.

L’autoteatro di Silvia Mercuriali prende vita con noi

L’Europanto è una lingua giocosa, un mosaico di idiomi diversi pensato per avvicinare culture lontane, e le cui frasi si creano prima nella nostra testa e poi insieme agli altri, improvvisando man mano che la conversazione prosegue. E chi poteva adattare il testo di Marani e dirigere lo spettacolo teatrale se non Silvia Mercuriali? Attrice e regista teatrale italo-britannica, Silvia Mercuriali si sposta tra Milano e Londra e vanta un’esperienza incredibile alle spalle, tra collaborazioni con grandi centri culturali in tutto il mondo e un progetto visionario: l’autoteatro. Nell’autoteatro, lo spettatore diventa attore e sale sul palcoscenico seguendo le istruzioni che gli vengono trasmesse con audio, testi e video. Ed è proprio con la tecnica dell’autoteatro e un cast dinamico e carismatico che per la prima volta ha preso forma teatrale “La lingua virale”. In linea con l’idea del testo di socialità e sperimentazione, l’interattività ha trasposto nella pratica il vero fine dell’Europanto: toccare con mano, mescolarsi e connettersi agli altri, anche a chi ci appare molto diverso e magari incomprensibile, infine prendendo un pezzetto dell’altro e lasciando a lui un pezzetto di noi. Non è facile né sicuro orchestrare uno spettacolo del genere, costruito sul terreno instabile del gioco, dell’incontro e della fiducia nell’altro. Basta poco perché il meccanismo si inceppi, perché il ritmo e la magia teatrali si spezzino. Tuttavia, Mercuriali ha saputo fornire un solido scheletro alla rappresentazione, per poi abbandonarsi con saggezza e coraggio non banali all’imprevisto e all’ignoto.

La follia e la passione dei compagni di viaggio

La perfetta armonia di spettacolo e gioco è stata raggiunta anche grazie al grande cast costituito da Emiliano Albor Boscato, Federica Lea Cavallaro, Marta Cellamare, Alessandro Colombo, Claudio Gattulli, Carlotta Grimaldi, Irene Lay, Guido Sciarroni, Silvia Viviani e Giorgio Zobel. Un gruppo che deriva dall’innovativo laboratorio per giovani attori organizzato dal Teatro Stabile e diretto dalla stessa Silvia Mercuriali. Sono interpreti freschi e intraprendenti, dotati della giusta dose di follia che accompagna spesso il carisma. Insieme, hanno saputo divertire portando pur sempre alto il messaggio del testo di socialità e fratellanza. Un messaggio concretizzato in quelle scene di interattività in cui, con grande grazia e calore, gli attori hanno accolto il pubblico nel regno del loro palcoscenico, affrontando in prima linea tutti gli imprevisti e le sorprese dell’interazione, e riuscendo a coinvolgere senza mai smettere di intrattenere e sorprendere.

Il confine è una linea immaginaria(?)

Si tratta di uno spettacolo dinamico, coinvolgente e la cui trascinante interattività è una sorprendente custodia per un significato molto profondo e sensibile. L’arte diventa così parola e movimento, scienza e sociologia, canzoni e tecnologia. Farsi prendere dalla paura dell’ignoto, di ciò che è diverso e che potrebbe ferirci è naturale, persino inscritto nel nostro DNA animalesco di primati. Ma “La lingua virale” ci dice che questa paura non può diventare presa di posizione e rifiuto di tutto. Nella vita impariamo a conoscere noi stessi attraverso i confini che ci separano dal “diverso”, ma sarebbe bello e utile che questi confini fossero linee valicabili, attraverso le quali riusciamo ancora a scorgere l’altro, e non alti muri di cemento. Linee come quelle che, per tutto lo spettacolo, gli attori hanno disegnato sul palcoscenico per isolare chi era infetto dal terribile caos linguistico, solo per poi regolarmente oltrepassare questi confini da soli o in elaborate coreografie con i loro colleghi.

Silvia Mercuriali sa che la purezza forzata, nella lingua come in ogni ambito della vita, non solo è impossibile ma spesso pericolosa e controproducente, ostacolando l’evoluzione e il progresso. E infatti loda “[…] questa idea della commistione di linguaggi, di culture, questa completa apertura all’altro… La possibilità di lasciarsi influenzare, lasciarsi infettare dagli altri, da un diverso modo di vedere, di parlare, di comportarsi, perché più noi ci apriamo a metodi, modi, lingue e occhi diversi, più il mondo diventa vario e interessante e sempre sorprendente”.

Siamo quindi di fronte a un testo e ad uno spettacolo che trabocca di sperimentazione e innovazione, creatività e cuore. Come tutta l’arte più sublime, non è solo temporaneo piacere e presenza, ma fotografa la realtà in cui siamo immersi e quella che si affaccia nel futuro.

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