Dal 18 al 19 novembre 2023 va in scena il monumentale e raffinato monologo “Le memorie di Ivan Karamazov” al teatro Rossetti di Trieste

C’era una volta, in un paesino della Russia ottocentesca, un padre molto crudele. Il suo nome era Fedor Karamazov e aveva quattro figli, Dmitrij, Ivan, Alëša e Smerdjakov. Una notte, Fedor venne ucciso a sangue freddo e la colpa ricadde su Dmitrij. Quello che il tribunale non sapeva era che i colpevoli del delitto erano molteplici. Ognuno dei fratelli desiderava la morte del padre, ognuno a proprio modo aveva contribuito al misfatto, ed era stato proprio Smerdjakov ad uccidere fisicamente il padre. Questo è un brevissimo riassunto dell’imponente e immortale opera “I fratelli Karamazov”, scritta da Fedor Dostoevskij e pubblicata nel 1880. Un romanzo che riflette sulla dualità della giustizia e sui limiti della morale.

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Chi è Ivan Karamazov?

Ivan Karamazov è un uomo dalla razionalità pungente, quasi nichilista, ateo convinto e fautore di teorie estreme come quella del “tutto è permesso”. Ma è anche un uomo dalla spiccata intelligenza, sensibile e dotato di un forte senso morale. E sarà proprio la coscienza la sua rovina. Una volta resosi conto di aver ispirato in Smerdjakov l’idea dell’omicidio del padre con i suoi discorsi, Ivan impazzisce. La febbre cerebrale gli provoca visioni terrificanti, tra cui quella del diavolo stesso. Si tratta certamente di uno dei personaggi più complessi, sfaccettati e umani di tutto il romanzo. Tuttavia Dostoevskij, deciso a scrivere una continuazione del libro, mai creata, non gli dà un finale completo. In nostro aiuto arriva quindi “Le memorie di Ivan Karamazov”. Si tratta di un monologo scritto a quattro mani dal grande attore Umberto Orsini, che ne è anche interprete, e l’eclettico regista Luca Micheletti.

L’Ivan di Orsini e Micheletti

Incontriamo un Ivan Karamazov con qualche anno in più sulle spalle rispetto al giovane nel romanzo, ma ancora tormentato dal rimorso. Il pubblico viene traghettato nei meandri della sua mente e della sua coscienza, mentre Orsini si perde in riflessioni morali e filosofiche che toccano l’anima dello spettatore. “Eravamo felici e non lo sapevamo”, con tenerezza rievoca i fratelli, una famiglia ormai a pezzi. Srotola la matassa dei ricordi come se si stesse confessando di fronte a noi e ai magistrati insieme. Ripete febbrilmente “agli atti!” in un commovente insieme di rimorso e sollievo, finalmente capace di raccontare la sua verità. Con la mente, Orsini ripercorre le circostanze del delitto, fino ad accompagnarci nella famosa storia del Grande Inquisitore. Nel frattempo il suo guscio di adamantina razionalità s’increpa e la domanda torna insistente, è davvero tutto permesso?

L’immenso Umberto Orsini

Ci viene restituita l’immagine di un uomo in lotta con sé stesso, divorato per anni dal senso di colpa e in questo Orsini è quieta potenza. Umberto Orsini, pietra miliare del cinema e del teatro italiano, durante la sua lunga e grandiosa carriera ha collaborato con professionisti del calibro di Gabriele Lavia, Luchino Visconti, Federico Fellini e moltissimi altri. Per la terza volta, adesso, torna a indossare i panni di Ivan Karamazov e in questa occasione contribuisce anche alla scrittura del monologo. Così troviamo Ivan nell’interpretazione di Orsini e Orsini nelle parole di Ivan. Ormai questo personaggio è sotto la sua pelle, Orsini si guarda allo specchio e riconosce ogni crepa, ogni ruga, ogni smorfia di dolore come propria, come in un processo a sé stesso. Sostenere sulle proprie spalle un monologo del genere potrebbe sembrare un‘impresa titanica, ma Orsini è magistrale. Un solo uomo riecheggia in ogni angolo della sala, mentre si muove con sicurezza riempiendo il palcoscenico. Dosa intelligentemente disperazione e tenerezza, risultando intenso e magnetico, e stuzzicando il pubblico in maniera brillante quando serve. In questo lo aiuta anche l’imponenza e la raffinatezza del testo, costruito con grande precisione.

La regia di Luca Micheletti

Ad accompagnare il lavoro autoriale di Orsini nel monologo c’è Luca Micheletti. Artista eclettico e fenomenale, attore, regista, cantante lirico di fama internazionale e Dottore di Ricerca in Italianistica, Micheletti in questo caso ricopre il ruolo di co-autore e regista. Grazie alla sua poliedricità, dona solidità ad uno spettacolo tanto complesso per tempi, testo e temi. Il pubblico viene quindi risucchiato in una sinfonia folle e verbosa che lo cattura senza ingarbugliarsi o annoiare.

La ricchezza del testo a quattro mani

Il testo riflette l’umanità di Ivan, una creatura “incompiuta che reclama un finale, una sentenza”, questa è la sua presa di posizione che sfocia nel metateatro quando si riferisce all’autore, “colui che ha scritto la storia della mia famiglia”. Piacevoli anche i riferimenti letterari, e non solo. Squisitamente colti e talvolta sottili, trasportano lo spettatore in un mondo di carta e inchiostro, di grandi autori come Shakespeare.

Una scenografia da sogno

Una scenografia monumentale, magnifica ed evocativa aiuta a riprodurre l’interno della mente febbrile di Ivan Karamazov.

Sul palcoscenico si staglia un tribunale, una volta splendido e imponente, ora in rovina, come sono in rovina la memoria e la coscienza del protagonista. Le luci invece riflettono il suo vagabondaggio nei meandri della propria mente. Luci più forti mentre riflette a voce alta, abbassate o fredde mentre ricorda, mentre talvolta calde fuoriescono da porte e scomparti, infrangendosi sul volto di Orsini in un gioco impressionante di ombre.

Poi nevica. La neve cade dall’alto attraverso i coni di luce fredda con un incredibile effetto scenico e dall’alto cadono anche fogli, la storia del Grande Inquisitore, gli atti del tribunale…

Un monologo creato ad arte

“Le memorie di Ivan Karamazov” è un testo di rara raffinatezza e forza, molto umano, che sa cogliere le fragilità, ma anche la fierezza di Ivan. Un uomo che vive di contraddizioni, che si sente colpevole ma che teme la sentenza, un uomo che parla col Diavolo ma che non crede in Dio. E così, in qualche modo, anche Ivan Karamazov ottiene il proprio finale.

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