L’intensità con cui il pubblico ha applaudito il debutto della nuova produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e di Goldenart Production, “La coscienza di Zeno”, per la regia di Paolo Valerio e con protagonista Alessandro Haber, basterebbe di per sé per recensire l’adattamento drammaturgico di un capolavoro che proprio quest’anno compie cent’anni.
In realtà l’età del testo non va di pari passo con la sua interpretazione sempre più attuale perché l’autore, Italo Svevo, è stato in grado di indagare le crepe dell’uomo e della storia che tuttora sono visibili e percepibili.
Un altro inizio di stagione promettente, frutto del lavoro incessante di un teatro che respira a pieni polmoni un’atmosfera internazionale, come dimostra l’eco emotiva che riecheggia a tre mesi di distanza dal “The Phantom of the opera”, ma che sa guardare anche ai propri tesori locali, perle d’arte e di letteratura che il direttore Paolo Valerio ha deciso di valorizzare in un percorso che è appena al suo principio.
Paradossalmente Zeno Cosini, simbolo dell’inettitudine, almeno apparentemente, abituato a procrastinare, a non scegliere o a non essere scelto, viene portato sul palcoscenico con successo grazie alla visione di un teatro che le scelte le sa fare, come dimostrano i risultati brillanti della passata stagione.
Emoziona vedere che sul palco prendono vita le parole di un nostro orgoglio triestino, Ettore Schmitz, conosciuto sotto lo pseudonimo di Italo Svevo, perfetto spettatore di un periodo storico, con tutte le sue contraddizioni, in cui ritroviamo le influenze della psicoanalisi di Freud e del flusso di coscienza joyciano.
A proposito di scelte, Haber incarna le sfumature di un uomo con le sue inquietudini senza tempo, forse più contemporaneo di quello che potremmo pensare proprio perché, in un mondo come il nostro, in cui bisogna performare a tutti i costi, forse il vero atto di quell’eroismo che Zeno Cosini non ha mai rappresentato, è distinguersi e guardarsi con ironico distacco, mentre tutti si prendono “troppo sul serio”.
Lo spettatore può addentrarsi nella mente di Zeno, immerso nell’atmosfera creata dall’incontro di vari linguaggi scenici (Marta Crisolini Malatesta per i costumi e la scena, Gigi Saccomandi per le luci, Alessandro Papa per i video e Oragravity per le musiche), proprio come fa l’occhio scrutatore del dottor S. che, allo stesso tempo, sembra guardare dentro tutti noi. I ricordi del protagonista si proiettano sulle “pareti sceniche” della sua psiche, popolata dai personaggi che prendono vita man mano che Zeno li richiama alla mente. Un cast ben amalgamato, quanto variegato, dai veterani ai giovani attori ammirati nella sala Bartoli in “Quell’anno di scuola”.
Interessante la trovata registica e drammaturgica del dialogo tra lo Zeno maturo e il giovane Zeno che si guardano a vicenda e si riconoscono, passato e presente che si intrecciano, coscienza e vita vissuta che si confrontano.
“La coscienza di Zeno”, un testo complesso da rileggere più volte e che, nella trasposizione drammaturgica, rende ancora più vivi i pensieri di Svevo ma anche forse più inafferrabili perché ciò che sulla pagina può essere riletto, sulla scena non ha modo di essere riavvolto e rivisto con più attenzione.
Le riflessioni che lo spettacolo lascia sono profonde e ancora da indagare: chi è il vero malato? chi è quello sano?
“Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa”
scriveva Svevo nel 1923, a qualche anno di distanza dalla Prima guerra mondiale e prima che un certo Oppenheimer, reso ancora più noto dall’ultimo adattamento cinematografico di Christopher Nolan, rendesse quelle parole tristemente profetiche.
“La coscienza di Zeno” in scena al Politeama Rossetti fino a domenica 8 ottobre, poi in partenza per una lunga tournée nazionale.
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