“Quell’anno di scuola”, la nuova produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, porta sulla scena “Un anno di scuola” di Giani Stuparich, uno dei tre testi protagonisti delle maratone letterarie dell’estate del 2021, organizzate dal Rossetti nel giardino di Piazza Hortis.
Anch’io avevo partecipato quel giorno, come lettrice e come ascoltatrice: avevo già potuto assaporare la trama del libro di Stuparich tra gli alberi di Piazza Hortis, in un respiro tra natura, cultura e socialità, desideri di cui si era fatto interprete il Teatro Stabile di Trieste.
Perché questo fa il teatro: regalare ciò che desideriamo nell’intimità dei nostri pensieri, creare presenza e scambio, rispondere alle nostre domande e crearne di nuove.
Ancora una volta il direttore artistico Paolo Valerio ci fa un dono, credendo in questo progetto che ha fatto il suo debutto alla Sala Bartoli ieri sera, venerdì 25 novembre, e che sarà in scena a Trieste fino a domenica 11 dicembre.
«“Un anno di scuola” di Giani Stuparich è una struggente rivisitazione d’ispirazione autobiografica della Trieste di primo Novecento, della sua gioventù e del suo ambiente culturale, a pochi anni dallo scoppio di quella prima guerra mondiale che cambiò molti destini collettivi e individuali, ma è anche uno strumento per mettere criticamente a confronto la società e i giovani di allora con quelli di oggi» spiega il regista Alessandro Marinuzzi.
Giani Stuparich sfoglia le pagine di un anno di scuola, di quell’anno di scuola, di quei giovani e promettenti studenti, di quella Trieste del 1909 così lontana nel tempo, nel modo di vestire, nei confini disegnati da mano straniera. Eppure, quella Trieste è così vicina nel rivelarci l’estrema fragilità di un momento della vita in cui, oltre ai libri, ci si studia ancora dentro, su quello che si prova, su quello che si desidera, su quello che ci si aspetta o su quello che “così deve essere”.
La regia di Alessandro Marinuzzi ha il potere carismatico di Quel professore affabulatore che calamita l’attenzione della classe, senza imposizioni autoritarie ma che trionfa con estrema naturalità, trascinando i suoi alunni/spettatori in un vortice d’inebriante rapimento culturale.
Da insegnante e amante delle lettere ho provato puro godimento nella scelta drammaturgica, firmata da Marinuzzi insieme a Davide Rossi, di mantenere le parti narrative e descrittive, senza tradurre tutto per forza in scene, in una sapiente commistione tra letteratura e drammaturgia, resa ancora più potente dall’interpretazione degli attori.
Oltre a Ester Galazzi e Riccardo Maranzana – attori dello Stabile regionale – ci sono gli attori della Compagnia Giovani del progetto TeSeO del Teatro Stabile del Veneto. Intensi, affiatati, preparati.
Un incastro interpretativo e drammaturgico tanto perfetto da tenere in pugno l’attenzione, la curiosità e le emozioni del pubblico e muoverle tra i banchi che man mano si trasformano nei pendii del Carso o in un letto d’ospedale, rivelando la geniale versatilità di una scenografia tanto essenziale quanto evocativa.
Tutto è così intensamente intrecciato e naturalmente fluido sulla scena ma dietro si nasconde uno studio meticoloso del gesto, della parola, del movimento.
Da insegnante e spettatrice ho “divorato” più che sfogliato la storia tra i banchi di scuola, teatro delle inquietudini, dei primi amori, dei sacrifici, dei sogni di generazioni e generazioni di studenti e studentesse.
Questo spettacolo è una goduria interpretativa, drammaturgica e scenografica da non perdere.