È uscito il 20 maggio “LA VITA, L’AMORE E QUELLO CHE RESTA.”, il nuovo album dei RÉCLAME, secondo lavoro discografico che arriva a due anni di distanza dal precedente “Voci di Corridoio”, prodotto da Daniele Sinigallia, in cui era contenuto anche il brano “Il Viaggio di ritorno”, selezionato per la finale di Sanremo Giovani 2019. Ci siamo fatti una chiacchierata con il gruppo.
Siete sicuramente uno dei gruppi più giovani ad aver calcato il palco di Sanremo con Sanremo giovani 2019. Quale è stata la vostra ricetta per conquistare una vetrina così importante in così poco tempo?
L’esperienza sanremese, che ci ha visto protagonisti, è stata qualcosa di unico. Ci riteniamo sicuramente fortunati ad aver calcato un palco del genere e ad aver fatto un’esperienza televisiva di questa portata. Il brano che abbiamo proposto a Sanremo giovani è piaciuto sin da subito alla direzione del festival ma non c’è stata nessuna pianificazione pregressa da parte nostra nella stesura del brano.
Parlando del gruppo, come siete nati e da chi è partita l’idea originale?
L’idea di fare musica insieme è stata condivisa sin da subito da tutti. Abbiamo iniziato a dedicarci seriamente alla musica fra i 17 e i 18 anni. Fondamentale è stata la scoperta del progressive rock europeo e del jazz, che ci hanno stimolato ad approfondire tecnicamente gli strumenti che suonavamo, nel tentativo di imitare i nostri musicisti preferiti. Da un punto di vista testuale, invece, sono stati importanti, per la nostra formazione, i grandi cantautori italiani e stranieri: Fabrizio De André, Francesco Guccini, Paolo Conte, Franco Battiato, Leonard Cohen e Bob Dylan su tutti. Sono stati loro ad averci aperto le porte a nuove possibilità espressive, ad insegnarci l’importanza del rapporto fra la musica ed il testo e, soprattutto, a spronarci verso un tipo di canzone, che poggiasse su una profonda ricerca contenutistica e formale.
In “La vita, l’amore e quello che resta.”, il focus è incentrato sulla coppia. Come siete arrivati a questo tema centrale e come ci avete lavorato?
L’idea dell’album è nata in concomitanza con la fine del disco precedente. Ogni nuovo progetto, per noi, vuol dire aprire le porte a nuove possibilità e cimentarsi con tematiche e sonorità diverse. Nel primo album l’idea era quella di un corridoio, con vari appartamenti, che veniva percorso senza mai entrare, effettivamente, in una realtà definita e senza abbracciare un tema unico, dichiarato dall’inizio. Possiamo dire che in questo nuovo album abbiamo attraversato la soglia di un appartamento specifico. Si tratta di un luogo soggetto ad un lento declino, dove gli affetti tentano disperatamente di sopravvivere, ritagliandosi uno spazio vitale.
Parlando in generale del vostro processo creativo, come vi muovete nella creazione dei vostri brani?
Non c’è una via ben precisa e univoca che percorriamo per comporre un nuovo brano. Tutto può nascere da un accordo, una frase, un groove di batteria o una linea di basso. Sicuramente ci piace attingere da esperienze extramusicali, come il cinema e la letteratura, per la stesura dei testi e per la creazione delle idee generali alla base dei singoli brani.
Come vi hanno influenzato gli ultimi due anni di pandemia e come è cambiato il vostro gruppo ora che siamo tornati ad una situazione di “normalità”?
Le nostre dinamiche di gruppo non sono state influenzate più di tanto dal covid. Il non poter suonare dal vivo il nostro primo disco nell’estate del 2020 è stato sicuramente il nostro più grande rammarico. Fortunatamente, siamo riusciti a comporre i brani del nuovo disco anche a distanza nel periodo del lockdown.