Dall’8 al 10 ottobre al Teatro Furio Camillo di Roma è in scena Le favolose 11 una rilettura teatrale del testo di Stefano Massini. Anastasia Astolfi, nella doppia veste di regista interprete, porta in scena questo testo ispirato alla storia vera delle prime squadre di calcio femminili. Lo spettacolo racconta le vite di undici donne, ognuna con la sua idiosincrasia, il suo sogno, la sua paura. Alternando leggerezza, ironia e commozione, si viene travolti dalla dirompente epopea del gruppo di pioniere che ha osato sfidare gli uomini sul terreno maschile per eccellenza: il campo da calcio.
Abbiamo intervistato Anastasia Astolfi.
Quando ha letto il testo di Stefano Massini ha subito immaginato di realizzarci uno spettacolo teatrale?
Si. Praticamente dalle prime pagine, vedevo muoversi nella mia mente “palcoscenico” le parole, che diventavano azioni teatrali immaginate. Da lì ho cominciato ad approfondire l’argomento, a guardare vecchie foto di calciatrici “d’epoca”, osservandone le posture, le espressioni, le divise spesso improvvisate.
Cosa l’ha colpita di più di questo lavoro?
La possibilità di raccontare una storia, così vecchia e così attuale. Non è stato affatto difficile intuire certi stati d’animo, legati ahimè a una cultura di genere di cui anch’io nella mia vita, e non solo professionale sono stata e sono vittima. C’è inoltre un’innocenza, una genuinità in questa storia che me l’hanno resa immediatamente vicina.
Come sarà la sua messa in scena?
Semplice, scarna, essenziale. Tutto giocato su azioni sceniche che stimoleranno lo spettatore a una visione originale e personalissima della vicenda. Credo sia importante lasciare una stanza vuota che possa ospitare le suggestioni nate dall’incontro della parola detta e ascoltata. Anche lo spettatore ha un ruolo chiave nel teatro, non un passivo fruitore ma un partecipante attivo e dinamico.
Qual è il messaggio che lancia questo spettacolo?
Da parte mia non c’è un messaggio da lanciare, direi piuttosto una grande carica e passione da offrire. Che possa far pensare anche quanto un’azione, una presa di posizione, possano contribuire a un cambiamento culturale necessario.
Cosa vorrebbe che arrivasse al pubblico?
Innanzitutto far ritrovare il piacere di tornare a teatro, per chi ancora non l’avesse fatto. E vorrei che arrivasse la tenacia, l’amore e il sacrificio che c’è dietro a una passione. Come direbbero le 11 operaie “qualunque cosa accada noi siamo qui per giocare“. Ed è un po’ quello che mi accingo a fare io e chi come me ha attraversato mesi di incertezze lavorative. Quindi palla al centro e fischio d’inizio!