Ci sono pellicole cinematografiche che ti lasciano col mal di vivere e personaggi che ti entrano nel cuore al primo sguardo. Uno di questi è Lazzaro, protagonista di Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher, regista e sceneggiatrice Premio Cinema del Presente a ShorTS International Film Festival 2021.
Durante la premiazione di ieri 9 Luglio, al Cinema Ariston di Trieste, la Rohrwacher (non presente a Trieste per cause di forza maggiore…Cannes, ndr) ha introdotto il film, proiettato come omaggio alla sua cinematografia.
Hanno preceduto Lazzaro Felice, premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes nel 2018, i più recenti “Quattro strade” (I 2020, 7’) e “Omelia contadina”, (I-F 2020, 10’).
“Alice Rohrwacher è un’autrice che racconta con sguardo immaginifico quanto realistico gli spazi naturali vissuti da corpi e anime su terre di forti radici familiari in bilico fra memoria e improvviso futuro, luoghi ove natura e campagna assorbono echi e frange della città”
Come sono nati il rapporto con l’immagine e la voglia di fare cinema?
In occasione della premiazione, la Rohrwacher ha anche tenuto una speciale masterclass online nella mattinata di venerdì 9, in cui ha raccontato la sua strada per arrivare al cinema.
Come affermato dalla stessa, ci sono tante vie: vie ufficiali, vie più ‘segrete’, insolite…
Proprio a queste ultime appartiene la sua.
Un cinema scoperto da fuori, non attraverso una particolare cinefilia.
“Io nasco ignorante sul tema”, afferma la regista e sceneggiatrice, ma prima della nascita dell’amore per la storia del cinema ci sono state altre passioni, tra cui non riusciva a scegliere.
La musica, la pittura, il restauro; ma soprattutto un grande amore per l’umanità, per il circo, per la strada.
Per gli esseri umani, per fare cose insieme e lavorare con altri esseri umani
Il raccontare storie e gli amori per altri linguaggi espressivi hanno portato a un’illuminazione: queste passioni potevano unirsi in un unico ‘linguaggio altro’: il film.
E’ stato come trovare un luogo di riunificazione delle passioni
Un luogo dell’anima
In modi diversi, ma tutte le opere della Rohrwacher si riferiscono a un luogo fisico ma anche sociale, l’Altopiano dell’Alfina.
Sia Quattro Strade che Omelia sono infatti ambientati in questo luogo dell’anima.
Entrambi sono stati pensati e sviluppati in un anno difficile come quello dello scoppio della pandemia.
Nel primo la lente magica rappresentata dalla macchina da presa (e da una 16 mm) serve per trovare un altro modo per stare vicina a chi non si poteva toccare, a causa del primo lockdown di Aprile 2020.
Nel secondo la regista vuole restituire qualcosa alla gente del suo territorio in lotta.
Nasce così Omelia Contadina, un funerale all’agricoltura contadina. Quella che non specula. Che non inquina. Che non sfrutta e che porta avanti la biodiversità.
Ci avete seppelliti. Ma non sapete che siamo semi
Grazie al fare cinema, quindi, è nata la passione per la storia del cinema e per le infinite potenzialità e possibilità di guardare il mondo attraverso gli occhi di un altro.
Come gli occhi e lo sguardo di Lazzaro, di cui si parlava in apertura.
Gli occhi di un angelo, di un volto e di un personaggio senza età, protagonista di una storia di migrazione domestica che ci sembra così lontana e così diversa da quella migrazione contemporanea di cui siamo testimoni.
Migrare e sbarcare in un luogo altro. Ho voluto raccontare la migrazione domestica per avvicinare immagini che ci sembrano lontane, lontane anche dalla nostra storia
In un momento in cui la purezza non è più contemplata, tu nascondi qualcosa
Campagna e adolescenza. o è tutto riassumibile in un altro e diverso termine?
Sembra ci sia un filo conduttore nei film della Rohrwacher, ma la stessa regista e sceneggiatrice nella sua riflessione di venerdì mattina ne individua un altro: il confine.
Più che natura e adolescenza, come ammette lei stessa, c’è un legame forte con il confine. Un legame con i confini di età e di tempo, e di stratificazione degli stessi.
ciò che del passato è nel presente e ciò che di futuro c’è nel passato
La rasserena la sensazione di essere solo un ennesimo strato, mai definitivo; la rassicurano le ere geologiche, scherza, interloquendo con il co- direttore artistico di ShorTS IFF, Maurizio Di Rienzo.
Ciò che la interessa di più, se proprio deve definirlo, è il confine tra realtà e finzione, tra fiaba e documentario, tra innocenza ed età adulta., ma anche il serio e il ridicolo.
E il confine dei sentimenti, tra verità e menzogna.
Forse è proprio lì che si colloca il suo territorio d’indagine; spazio in cui si colloca anche l’adolescenza.
Proprio lì. Come la campagna, al margine, in bilico.
Dalla prima immagine, è da lì che si stabilisce il patto con lo spettatore. Quel patto attraverso cui il regista sfida lo spettatore nella comprensione di dove voglia portarlo.
Per questo ognuno dei tre film inizia al buio. Per tornare bambini, essere in un suono, E immaginare.