Iniziamo un ciclo di interviste con i protagonisti di “Casta Diva – Omaggio a Maria Callas“, che andrà in scena al Teatro Italia di Roma dal 14 al 17 febbraio.
Laura Valente, famosa cantante, prima come voce solista, successivamente come voce dei Mattia Bazar dal 1990 al 1998.
Partiamo dalla fine del viaggio con i Mattia Bazar. Prima l’uscita di scena di Carlo Marrale, deciso ad iniziare, dopo 18 anni, una carriera di solista, in seguito la scomparsa di Aldo Stellita, storico bassista ed autore di numerosi testi del repertorio della band. Sono questi i motivi che l’hanno indotta a lasciare il gruppo ?
L’uscita dal gruppo di Marrale ha rappresentato per me un buon motivo per restarci, vista la nostra endemica e totale mancanza di affinità elettive.
Al contrario, la prematura scomparsa di Aldo Stellita ha sicuramente pesato sulla mia decisione di lasciare il gruppo.
Senza nulla togliere a Giancarlo Golzi e a Sergio Cossu, splendidi professionisti della musica, Aldo, a mio sentire, era l’anima dei Matia, nonché uomo di grande spessore culturale e artista curioso.
Senza di lui ,in quel contesto, mi sono sentita all’improvviso orfana.
Il nostro “mestiere”, se privato della sua aura onirica ed emozionale, può diventare a tratti addirittura volgare e ridicolo.
Quando ho percepito questo rischio, ho preferito lasciare e la scelta di dedicarmi per anni alla mia famiglia è stata per me quella più appagante e congeniale.
L’abbiamo vista sul palco di San Remo nel 2007 con suo marito Mango, poi ha partecipato al disco Q.P.G.A. di Claudio Baglioni nel 2009 ed ora la ritroviamo su un palco ad interpretare Maria Callas. Come è arrivata al teatro ed all’opera ?
Direi in modo apparentemente fortuito e casuale: un giorno ho incontrato il talentuoso Alessandro Sena che mi ha fatto tornare la voglia di esibirmi e nel giro di tre anni mi sono ritrovata sul palco di un teatro a cantare “Casta Diva”!
In realtà credo che ognuno di noi, in questa vita, sia costantemente alla ricerca di quello di cui ha bisogno per crescere, essere felice e cercare di capire se stesso e il senso del tutto. Nulla avviene per caso.
La musica è il mio linguaggio, la mia dote, il valore aggiunto della mia esistenza; la mia voce è la mia ricchezza e arriva laddove io non so arrivare.
Amo impossessarmi di tutta la musica che mi emoziona e mi incuriosisce, anche se all’apparenza è lontana dalle mie corde, cercando di assimilarne sfumature, altezze e segreti.
Maria Callas, uno dei personaggi mediatici che ha senz’altro segnato il secolo scorso. Come la definirebbe ?
La Callas è il personaggio più indefinibile per antonomasia, come lo sono d’altra parte tutte le eccellenze!
Provare a definirla sarebbe un po’ come limitarne la luce.
Ci siamo accostati a questa luce con grande rispetto e, per quanto mi riguarda, addirittura con timore reverenziale.
In questo lavoro io interpreto la Callas “diva”, le presto la mia voce, canto tre arie che lei ha reso famose e immortali.
Mi ispiro alla sua interpretazione, infatti ho voluto mantenere le tonalità originali, ma, ovviamente, cerco di rileggere timbricamente queste arie in maniera personale.
Ciò mi riesce spontaneamente, forse anche per il fatto di non aver mai studiato canto lirico, ma è forse l’unico modo che ho a disposizione per evitare qualsiasi indugio all’ imitazione, che sarebbe ridicolo a priori.
Una donna dalle mille sfaccettature, quali sono le difficoltà nell’interpretare un personaggio così complesso ?
Sul palco, insieme a me, ci sono altre sei Callas ed ognuna interpreta una sfaccettatura differente della sua poliedrica personalità. Martina Ubaldi è la Callas giovane, piena di ardore e in conflitto con le rotondità del proprio corpo e con la sua famiglia, Silvia Morganti è la Callas donna, che si infiamma d’amore per Onassis e lascia il marito, riempiendo i rotocalchi di quel gossip che le rovinerà la vita.
Andrè De La Roche, danzando con leggerezza e sapienza, disegna le traiettorie mai banali del suo destino, eccezionale nel successo e nello splendore, così come nella sventura.
Amo questo spettacolo. Lo sento magico ed evocativo.
Il sipario si apre su un cono di luce bianca che illumina un piccolo uccellino in gabbia.
Alla fine dello spettacolo la gabbia è vuota.
Se è vero che esiste una parabola spazio-tempo che va oltre questa vita, allora Maria Callas è ancora alla ricerca della sua felicità interiore, o forse l’ha già trovata altrove.
La sua voce è la scia luminosa che ha lasciato a noi come dono prezioso del suo passaggio terreno.