“Il potere ha deciso che noi siamo tutti uguali. L’ansia del consumo è un’ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l’ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’essere libero: perché questo è l’ordine che gli ha inconsciamente ricevuto, e a cui deve obbedire, a patto di sentirsi diverso. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza. L’uguaglianza non è stata infatti conquistata, ma è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo.”
Queste parole provengono da un articolo pubblicato nel 1974 e scritto da Pier Paolo Pasolini. Se Pasolini fosse ancora in vita cosa penserebbe di questa Italia? Come giudicherebbe la classe politica che governa il nostro paese?
Fabrizio Gifuni porta in scena questi e molti altri quesiti attraverso la sua interpretazione degli scritti Pasoliniani. Lo spettacolo intitolato ‘Na specie de cadavere lunghissimo, conclusosi al Teatro Vascello lo scorso 3 febbraio, è il frutto di “un’urgenza politica”, il desiderio di raccontare “il grido disperato di un uomo che urlava nel deserto contro la cecità” della nazione.
Gifuni, grazie alle sue abilità interpretative, riesce a far rivivere la lingua di Pasolini, imprime forza alle parole dell’intellettuale, restituisce al pubblico verità inappellabili.
L’attore recita alcuni brani della letteratura pasoliniana: dagli Scritti Corsari, (impareggiabile l’episodio dei Jeans Jesus) fino alle Letture Luterane e a La nuova forma della Meglio Gioventù.
Gifuni coinvolge il pubblico, lo rende partecipe, scandalizza e sconcerta ma soprattutto fa riflettere i presenti sulla crudeltà di “un nuovo potere” che non lascia scampo, un potere più avido del fascismo, più crudele di qualsiasi totalitarismo mai nato.
Il nuovo potere è l’ossessione dei consumi, il conformismo dilagante, l’intolleranza verso qualsiasi forma di diversità.
La scena si chiude sulle righe tratte dall’opera “Il Pecora” del poeta milanese Giorgio Somalvico. Gifuni presta il suo corpo e la sua voce all’assassino di Pasolini: si spengono le luci, la scena svanisce, il vuoto della scomparsa del grande intellettuale piomba sulla platea. Rimane solo l’amara verità di aver perso la luce che ha illuminato la coscienza di una nazione.