Nel tempo degli dei. Il calzolaio di Ulisse, in scena fino a domenica 1° dicembre al Rossetti di Trieste. Un viaggio nel viaggio fatto di parole e musica. Spunti del passato per un racconto di grande modernità.

Mia madre mi racconta spesso che c’è stato un tempo in cui, nelle piccole realtà rurali di quelle dove la ricchezza era rappresentata dall’avere una famiglia numerosa, tante bestie quante ne servivano per produrre ciò che bastava per mantenere le bocche da sfamare; realtà in cui intorno alla “terra e la roba” ruotavano sia le dinamiche familiari che quelle economiche, realtà insomma senza grandi opportunità di svago.

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La televisione l’avevano in pochi, alcuni avevano il grammofono, altri la radio. Qualcuno si appassionava ai libri, altri ai radio drammi e il cinematografo era solo nella città a diversi chilometri di distanza.

Uno era però il vero divertimento delle sere estive: “lu cuntu” (il racconto).

Lu cuntu, iniziava dopo cena. Dopo aver reso onore in tavola ai prodotti della terra, con un tappeto musicale che poteva essere di mandolino, fisarmonica o grammofono, iniziava il viaggio tra le perigliose avventure delle vicende carolinge.

Se non era Carlo Magno e i suoi cavalieri, toccava a i promessi Renzo e Lucia oppure a Tancredi e Clorinda.

Quella ritualità magica di condivisione, per ragioni anagrafiche, me la sono persa.

Marco Paolini, con il suo Nel tempo degli dei. Il calzolaio di Ulisse, mi induce a credere che sia esattamente quella l’atmosfera che mi sono persa.

L’intero lavoro si presta a diversi livelli di lettura. Dall’analisi su Dio e l’uomo moderno a chi consideriamo Dio; dal rapporto tra l’uomo e l’universo conosciuto al senso di spaesamento difronte all’ignoto. Sì, certo, anche quello.

Ma la potenza del racconto unita alla bellezza della musica a fare da amplificatore emotivo, hanno un effetto dirompente.

Un racconto epico con il linguaggio e i codici dei gironi nostri. Un moderno Ulisse un po’ meno eroe e un po’ più uomo della strada. Sottoposto a grandi prove, vittima un po’ dei capricci degli dei e un po’ di sfortunate coincidenze è un uomo confuso e in là con gli anni.

La narrazione è infarcita di quell’umorismo fatto di freddure veloci, pronte ad essere carpite da chi a quel tipo di linguaggio è abituato.

L’organizzazione della scena è dinamica, anche perchè due ore di racconto “passivo” è un attimo a sdraiare sala!

Marco Paolini e Francesco Niccolini, con la sapiente regia Gabriele Vacis mettono in scena un cuntu movimentato e attuale. Scenicamente minimalista ma estremamente funzionale alla storia.

Una storia che, solo perchè epica, non resta intoccabile ed immobile a prendere polvere, ma rivive e si riadatta ponendo nuove urgenze e strizzando l’occhio all’attualità.

La forza del racconto è sostenuta dal gruppo orchestrale di Saba Anglana, Elisabetta Bosio, Vittorio Cerroni e Lorenzo Monguzzi. Un’orchestra con un repertorio dal canto gitano a quello balcanico, fatto di nenie ancestrali di civiltà millenarie.

A Lorenzo Monguzzi è affidato il ruolo di cantastorie che ricuce i lembi dell’origine del mondo. Un mondo che già dalla genesi è il risultato catastrofico di uno sfregio tra divinità.

A Elisabetta Bosio (cotrabasso e violino) è la figura eterea e trascendentale di Atena parte integrante del racconto e delle scelte del nostro eroe.

Vittorio Cerroni è colui che indurrà il nostro Ulisse a raccontare il suo periglioso viaggio. Lui è il pastore, ma forse siamo un po’ noi. Suo è il compito di essere la voce dell’attualità, la domanda concreta. Il confronto generazionale. La semplicità terrena e che sul finire dello spettacolo apprezziamo anche per le qualità canore.

Nel suo viaggio Ulisse Paolini è accompagnato da una presenza silenziosa, quasi a dare l’idea di una coscienza che “trattiene” con la quale dover fare i conti, e che verrà svelata solo alla fine. Presenza interpretata da Elia Tapognani.

Saba Anglana è chiamata a prestare corpo e voce a molte donne passate sul cammino di Ulisse. Tra le sue interpretazioni spiccano quella di Calipso (divertente!) e quella di Nausicaa (dolcissima)

Le musiche sono originali di Lorenzo Monguzzi con il contributo di Saba Anglana e Fabio Barovero e le scene che sono parte attiva e sonora del racconto sono di Roberto Tarasco

Nel tempo degli dei, Ulisse diventa il naufrago dei nostri giorni. Perde addirittura la sua identità diventando piuttosto il calzolaio di Ulisse.

Una pioggia di coperte termiche luccicanti che cade dalla parte alta della scena è un espediente in più che ci ricorda la circolarità delle tragedie umane, oggi come allora.

Le riscritture e le rielaborazioni non sempre funzionano ma questa sì.

Un cuntu che vale la pena di non perdere.

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