Al Teatro Miela lo spettacolo “Io non sono un numero“, una produzione di Bonawentura con la regia di Sabrina Morena, che ne cura anche la drammaturgia assieme a Laura Bussani anche ritroviamo anche nel suo “naturale” ruolo di interprete.
Ma sarebbe ingiusto non citare gli altri due “protagonisti” dello spettacolo: il video allestimento di Den Baruca e la scenografia di Marco Juratovec.
Cosa succede quando la donna diventa solo un “oggetto” da possedere?
Ecco, questa è la domanda che si pone lo spettacolo. E la risposta è purtroppo tragica. Secondo il Rapporto Eures, nei primi dieci mesi del 2019 sono stati 94 in Italia gli omicidi con vittime femminili, quasi uno ogni tre giorni; 142 le donne uccise nel 2018. Centoquarantaduedonne!
In un’audizione alla commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, l’Istat stima in 2 milioni le donne vittime di violenza fisica o sessuale.
E per rendere ancora più chiaro di cosa stiamo parlando diciamo che dal 2000 a oggi le donne uccise in Italia sono 3.230, di cui 2.355 in ambito familiare e 1.564 per mano del proprio coniuge/partner o ex partner. Gente che si era giurato amore eterno per intenderci.
Ma torniamo allo spettacolo. Laura Bussani, magnificamente supportata dalle video installazioni di Den Baruca e dalla, apparentemente semplice ma appunto meravigliosa nella sua semplicità, scenografia di Marco Juratovec, interpreta vari personaggi di questo dramma: dalla vittima, al marito assassino, dalla bimba che assiste alle violenze e vittima lei stessa, alla prostituta proveniente dall’Africa, dall’influencer alla profuga con figli in braccia che attraversa in continenti.
Uno spettacolo che è anche un piccolo documentario con intervento in video del Prof. Andrea Carnaghi che spiega cosa sia il processo di oggettivazione della donna.
Un racconto di un’emergenza sociale utile per approfondire l’argomento.
Abbiamo chiesto alla regista Sabrina Morena di raccontarci di più dello spettacolo.
Non ti chiediamo cosa ti abbia portato a voler creare e mettere in scena questo spettacolo perché credo ci sia bisogno ogni anno a un certo punto sentiamo “la vittima tot di femminicidio da inizio anno ad oggi…” quante volte viene dimenticata l’unicità delle persone rispetto alla riduzione a numero?
La cronaca giornalistica ci racconta una realtà in cui si sommano i femminicidi o si sommano i migranti.
Noi assistiamo a queste somme, ma sappiamo poco di ogni singolo individuo perché la conoscenza richiede tempo e attenzione. Tuttavia la riduzione delle persone a numero o a oggetto significa privarle della loro umanità, ovvero della capacità di provare emozioni e autodeterminarsi.
La disumanizzazione è utile da una parte a conservare lo status quo e dall’altra come accaduto nei regimi totalitari è stata necessaria per giustificare l’oppressione delle minoranze.
Che ruolo pensi possa avere la produzione artistica, di diverso tipo, a sostegno delle donne e contro a questa oggettivazione dilagante?
Speriamo che possa essere un ulteriore contributo al contrasto della violenza di genere. Abbiamo cercato di mettere in luce seppur teatralmente i meccanismi che generano violenza e come funziona il circuito della violenza che spesso da psicologica diventa fisica.
C’è anche il contributo scientifico del prof. Andrea Carnaghi del Dipartimento di Scienze della vita dell’Università di Trieste che spiega le ricerche sull’oggettivazione con le sue conseguenze.
“Io non sono un numero” tratta anche della disumanizzazione della donna….
Quando si sottovalutano i pensieri, sentimenti, emozioni della donna, le sue aspirazioni e desideri di libertà siamo di fronte a una forma di disumanizzazione.
Spesso la donna è soggetta a denigrazione e alla limitazione della sua libertà a causa della gelosia. Ma tutto ciò che non riconosce la libertà e l’individualità dell’altro, non è amore , ma violenza.