Al Teatro Romano di Verona il cantautore e la sua ensemble presentano un concerto in atto unico, la bellezza paralizzante il fil rouge della serata. Al violoncello la presenza straordinaria di Mario Brunello.

La conseguenza estrema della bellezza

La serata si apre con La peste: un brano mortifero come lo definisce lo stesso Capossela, il capo bardato da uno dei molti capelli che si susseguiranno nel corso della serata. Può sembrare un controsenso rispetto al tema del concerto, ma lo è solo apparentemente: la morte ricorre spesso nella setlist come conseguenza estrema della bellezza.

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Una bellezza che strega, paralizza, rapisce e ci sottrae a noi stessi.

E precisamente di questo parlano i successivi tre brani, sonetti di Michelangelo Buonarroti messi in musica. A questo punto della scaletta è chiaro che – come scherza lo stesso Capossela – “forse abbiamo preso troppo sul serio il tema”. E subito dopo infatti arriva lei, la canzone che ha ispirato e intitolato la serata. La belle dame sans merci è una ballata di Keats su un povero sfortunato cavaliere che si ritrova stregato dall’incantesimo di una bellissima dama.

E Capossela nel suo arrangiamento al pianoforte ha saputo rendere le atmosfere romantiche e insieme la dolce malinconia della poesia originale.

Ma oltre al punto di vista del lui rapito, c’è anche quello della lei, carnefice quanto vittima dei suoi stessi sortilegi. Medusa Cha Cha Cha è un brano scanzonato, un divertente ribaltamento di ruoli in cui ci si domanda quanto possa essere tragica e insieme comica la condizione di Medusa, che non può guardare negli occhi nessuno dei suoi amanti.

Vinicio Capossela è il suo palco!

È un Capossela pieno di vita quello sul palco, divertito e divertente. Che dialoga con il pubblico, imita le molte bestie delle ballate e sfoggia una parata di cappelli a tema.

Ma non c’è solo lui sul palco. La straordinaria sezione ritmica fa il paio con le corde, ma sono gli archi i veri principi della serata. In particolare il maestro Brunello al violoncello è una presenza importante, in grado di far accentuare la potenza evocativa e sospesa nell’aria di alcuni brani.  

E se i ritmi sostenuti di canzoni come Uro o Le loup garou riescono ad animare un po’ gli animi veronesi, è nelle ballate al pianoforte che il teatro pare davvero rapito, raccolto nell’intimità delle scalinate in pietra. Canzoni tratte dal nuovo album come La ballata del carcere di Reading vengono accolte con lo stesso raccolto silenzio di brani classici come Modì, Con una rosa o la delicata Ovunque proteggi.

La serata si chiude con l’acustica e stregante Il povero Cristo, un brano non su una bellezza superficiale, ma su quella che molto probabilmente intendeva Keats quando scriveva “la bellezza è verità, la verità è bellezza”.

 

 

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