Capossela al Festival della Bellezza in conversazione con la professoressa Rita Severi su Wilde, Keats e la poetica delle ballate, ispirazione del suo ultimo album Ballate per uomini e bestie.
Sul palco due sedie ma anche due teste: da una parte il cantautore e l’artista, dall’altra la professoressa e la letterata. Anche se entrambe valide, sono due posture molto diverse con cui leggere poesia.
E infatti a un certo punto la conversazione ha un cortocircuito. Da una parte Capossela insiste sul valore umano degli ultimi scritti di Wilde, di quell’humanitas spesso ignorata dal grande pubblico: il Wilde spezzato dal carcere che si scopre e riscopre compassionevole.
Dall’altro la professoressa Severi insiste invece sull’artificio letterario, i rimandi ad altri autori che dimostrerebbero in ogni caso quella voglia di stupire riportata sempre alla figura del dandy che tanti critici continuano ad associare anche all’ultimo Wilde, quello ritirato e sommesso.
Alla fine dell’intervento sottopalco si affollano i fan, pronti a farsi autografare il nuovo album.
Io sono a un metro di distanza. Ho la tentazione di fare un passo forse per raccontare di come mio padre mi abbia iniziato al cantautorato italiano con il suo Canzoni a manovella, forse voglio solo ringraziarlo di aver colto il Wilde uomo lì dove molti vedono solo l’esteta. E ho quella citazione in testa: una frase del De Profundis, la lettera che Wilde scrive in carcere e spesso accomunata per temi a La Ballata del carcere di Reading.
“Scrivi sulla porta della tua casa, in lettere d’oro che il sole possa far risplendere: tutto quello che accade a un altro accade a noi stessi …”
Ci ha dedicato una canzone del suo nuovo album Capossela, alla famosa ballata di Wilde.
Ispirata dall’incontro che il poeta inglese fa nel carcere di Reading con un condannato a morte, si presenta come il punto di arrivo di un percorso spirituale, umano e poetico che Wilde aveva intrapreso nei due anni di prigionia.
La compassione è il sentimento principe di questa crisi e metamorfosi, la compassione etimologica,quella del patire insieme. Il ritratto che Wilde fa dell’essere umano ha un ché di pessimista, quasi arreso. ‘Ogni uomo uccide quello che ama’ recita famosamente tanto la ballata di Wilde che quella di Capossela.
C’è del pessimismo anche in Ballate per uomini e bestie: è la peste (morale) dell’omonimo brano, ma anche l’immagine che torna spesso di un uomo indifferente al dolore dell’altro o addirittura carnefice, un uomo che uccide ciò che ama ed è in grado di infliggere il peggior male al proprio simile.
Eppure in entrambi esiste la speranza. Un richiamo quasi spirituale a una compassione universale, a un’unica umanità. Una risposta resiliente al dolore, dove il dolore personale in Wilde si trasforma in appello all’umanità. Impossibile affermare davvero quanto di questo dolore Capossela abbia portato con sé nella scrittura però nel corso della conversazione lo cita: il De profundis come un tentativo di “scoprire nel dolore un’altra via alla superficialità”.
“ … e se qualcuno ti domandasse cosa mai una scritta simile possa significare, rispondi che significa il cuore di Cristo …”
Alla figura di Cristo entrambi – il poeta inglese e il cantautore italiano – dedicano parole. Il tradimento del messaggio di fratellanza di Cristo è per entrambi la grande colpa dell’uomo, dove ritorna la centralità della compassione contrapposta all’immagine di un uomo che non ha nessuna.
Però nel De Profundis di Wilde Cristo diventa un poeta, anzi il primo dei poeti romantici ed il più importante. È l’uomo che è venuto a insegnare agli uomini come salvarsi da soli.
Ed è l’insegnamento di Cristo, spogliato di dogmi, la vera risposta alla salvezza dell’uomo. Il Cristo di Capossela è per molti versi simile. Anche lui è un profeta spirituale più che religioso e allo stesso tempo però è un Cristo arreso “che ha all’uomo rinunciato”.
“… e il cervello di Shakespeare”
Ai tempi della stesura de La Ballata del carcere di Reading poco era rimasto a Wilde del dandy. Quello che restava era un uomo proiettato tutto all’esterno. È una parabola che hanno vissuto uguale decine di altri poeti: da un eccesso decadente e tutto ripiegato su se stesso a una vita e una poesia più sommessa e rivolta al mondo. E forse per questo anche più sincera.
Capossela racconta questo passaggio: dal suo amore giovanile per il Wilde esteta, a un nuovo incontro adesso da adulto con un Wilde adulto. Due poeti maturi che si incontrano lì dove la parabola giunge a un impegno civile, una poesia che si fa politica in un modo che mai era stato così importante per entrambi. Sembra lontano ascoltando questo album il Capossela de All’una e trentacinque circa, ma è una metamorfosi quasi inevitabile.
Potremmo stare qui a rintracciare dove Wilde ha inseguito Keats o Shakespeare, o potremmo anche – e non sarebbe molto difficile – intravedere in Capossela i gusti di un macabro decadente o le citazioni di una certa poesia romantica. Ma che ce ne importa davvero dell’intertestualità se non la guardiamo attraverso gli occhi dell’universalità umana.
Alla domanda perché la scelta della ballata come forma poetica, Capossela scherza sul sicuro insuccesso di una canzone che dura più di tre minuti e non ha un ritornello orecchiabile. Però la ballata ha delle caratteristiche che le ha permesso di trascendere ogni tempo, ogni moda e ogni strato sociale, rendendola atemporale e universale. La ballata è lunga e complessa perché deve raccontarti una storia.
Una storia universale, quella umana, che per diverse e molte strade della poesia arriva alla compassione.