Con il Premio Luchetta qualche anno fa, ho scoperto un mondo che fino a quel momento sembrava remoto e che è un mondo affascinante.
E’ una professione difficile, farlo da freelance è due volte difficile
Parte del “Buon giornalismo” è composto dagli inviati di guerra, molti dei quali freelance quindi non appartenenti a redazioni e di conseguenza spesso non stipendiati (ma non solo) che vanno alla ricerca di quelle “storie che nessuno tratta”
Quello dei freelance è il presente ma sembra essere, purtroppo forse, anche il futuro del giornalismo.
Non a caso la gran parte dei premiati del Premio Luchetta sono giovani freelance, motivati e armati esclusivamente dei loro strumenti di lavoro e della propria passione.
Voglio citare in primis loro: Daniele Bellocchio che, nella categoria stampa italiana, ha raccontato per L’Espresso il Ciad in fuga da Boko Haram.
Margaux Benn, corrispondente del quotidiano francese Le Figaro dall’Afghanistan che, nella sezione stampa internazionale, ha documentato le storie dei bimbi soldato dell’Isis nella provincia orientale afghana.
Alessio Romenzi, vincitore della sezione fotografia dedicata a Miran Hrovatin, ha firmato lo scatto “In fuga da Mosul” pubblicato da L’Espresso.
Premiati anche Orla Guerin, vincitrice della categoria TV News per la corrispondenza in onda su BBC News sui bambini uccisi su un autobus in Yemen, e Diego ‘Zoro’ Bianchi (PropagandaLive e Gazebo), premiato per il suo reportage “Congo”.
Le emergenze a volte dimenticate
Nigeria, Yemen, Afghanistan sono solo alcuni dei luoghi caldi con emergenze gravi di cui non verremmo a conoscenza senza il lavoro di questi professionisti.
Ma non solo questi luoghi.
Si aggiungono: il Venezuela, in grossa crisi umanitaria pur non vivendo una guerra, Myanmar (Birmania) e Bangladesh con il campo profughi più grande del mondo (nonché bacino di risorse per gli estremisti islamici) , la zona di Donbass (Ucraina) o gli stati Africani che devono combattere contro l’Ebola.
Emergenze mondiali spesso dimenticate che gli inviati, come ad esempio Nico Piro (non solo inviato di RaiTre ma blogger), portano alla nostra conoscenza tramite servizi televisivi o reportage cartacei.
io non lavoro per un editore, non ho mai lavorato per un caporedattore.
Barbara Schiavulli
ho sempre cercato di scrivere pensando alle persone che mi avrebbero letto
Una grande risorsa del giornalismo
Questo pezzo vuole ricordare e sostenere tutti i giornalisti freelance, coloro che “si sporcano le scarpe”, cercando di raccontare storie vere in luoghi lontani spesso dimenticati.
Coloro che per poter partire a raccontare devono reinventarsi, affidarsi al crowdfunding o offrire servizi (attraverso notiziari online ad esempio) in modi alternativi perché alle testate sembrano non interessare.
Perché se, come ha affermato Mentana nella discussione con Serena Bortone durante la premiazione “I nostri angeli”, i giornalisti devono raccontare il qui e ora, e per farlo sono indispensabili curiosità e la voglia di dare voce a chi una voce non ce l’ha.
Accanto a loro i professionisti dei luoghi in cui vanno ad operare: traduttori e coloro che forniscono i contatti sul luogo e che collaborano, i fixer.
Sono numerosi i giornalisti, i fixer e i reporter incarcerati o uccisi nelle zone di conflitto e dei quali spesso non si ha notizia perchè non cittadini europei.
Perché credo che il giornalismo, quello vero, si faccia sul campo, documentandosi, approfondendo e andando direttamente dai protagonisti delle vicende.
Non a una scrivania.
non valutiamo lavori fatti in redazione ma solo quelli di chi nei luoghi ci va