“Nous naissons tous fous. Quelques-uns le demeurent.” (“Nasciamo tutti pazzi, alcuni lo restano.”)
Glauco Mauri e Roberto Sturno, insieme alla collaborazione di Andrea Baracco, ci proiettano in una favola beckettiana popolata da Parole e Musica, da fischietti e cubi colorati, da vecchie bobine e personaggi peculiari che tengono viva la curiosità dello spettatore. Beckett nella sua forma più smagliante!
Samuel, drammaturgo irlandese e Premio Nobel. Samuel, padre del cosiddetto Teatro dell’Assurdo. Samuel che inventa voci non sue per non restare solo. Samuel che ha un’infanzia felice eppure è poco dotato per la felicità. Samuel trova sollievo nella scrittura, un balsamo per il suo animo troppo critico ed esigente.
Ed è l’anima dell’autore ad essere inscenata, in un percorso multimediale e umano che lentamente si avvinghia addosso al pubblico e che con attenzione si divincola da ogni possibile costrizione (e costruzione) mentale e teatrale.
Il tutto inizia con Prologo, una lettura intima della vita e del lavoro di Beckett, alla ricerca del destino dell’uomo e dell’atto creativo. La vita è la più grande ispirazione ed è intrinseca a lei la sofferenza, fedele compagna. Perché in fondo “Non c’è nulla di più comico dell’infelicità”.
Segue poi Parole e Musica, Parole (Roberto Sturno) e Musica (Giacomo Vezzani, che ha una postazione in vista ed esegue dal vivo i suoi brani) si scontrano, vorrebbero esistere prescindendo dell’esistenza altrui.
Il poeta, Croak (Glauco Mauri), implora aiuto “Miei conforti, siate amici!” ma sconfortato abbandona poi la scena per l’incomunicabilità e l’impossibilità di raggiungere una qualsiasi armonia.
Si passeggia così attraverso Molloy, letta da Mauri, e quando tutto sfuma e ci sembra quasi di diventare ciechi… quando arriva la morte, lasciamola aspettare. Lo faremo più tardi. Continua così con la lettura di poesie, cullato dalla musica dell’indifferenza.
Ogni pièce, ogni frase (anche la più piccola), è meravigliosamente attaccata alla precedente, tanto da non riuscire a scindere con esattezza ogni momento. In una sinfonia di opere scivoliamo sulle corde di Beckett come un arco fa col suo violino.
Ed arriviamo ad Atto senza parole, eseguito da Sturno. Un fischietto pretenzioso comanda il protagonista, muto, in una cornice di luce bianca accecante. Si trova su un’isola deserta e ha bisogno d’acqua. Ma il fischietto è capriccioso, a suo volere dota e priva l’uomo degli oggetti necessari per raggiungere l’agognato scopo.
Eppure non gli concede nemmeno il suicidio. Nel momento in cui ogni sforzo è stato vano, l’acqua lo raggiunge, è a portata di mano. Ma l’uomo, annichilito dal suo totale fallimento, rinuncia. Torna il buio e la musica è padrona della scena: Nacht und Träume. Vi è un lento passare, com’è forse la stessa vita.
Con una fioca luce calda arriva Ultimo nastro di Krapp, interpretato da Mauri e caricato emotivamente dalla voce dello stesso attore che nel 1961 lo portò in scena per la prima volta in Italia. La bobina l’ha custodita gelosamente e così assistiamo a un dialogo tra passato e presente, siamo anche noi ad una vecchia scrivania e ascoltiamo.
Il vecchio è confusionario ma metodico, quasi grottesco. Si rifugia nel momento migliore della sua vita per evadere dalla misera esistenza che conduce. Nella voce del giovane c’è speranza, gioia ma anche un monito riservato al futuro. C’è una ricerca sempre meno convinta della felicità.
“Forse i miei anni migliori sono finiti. Quando la felicità era forse ancora possibile. Ma non li rivorrei indietro. Non col fuoco che sento in me ora. No, non li rivorrei indietro. Krapp immobile guarda fisso davanti a sé. Il nastro continua a girare in silenzio.”
Applausi a non finire per il duo Mauri-Sturno, mostri sacri e ormai consolidati del teatro italiano. Ci hanno fatto conoscere Beckett attraverso i loro occhi, attraverso il frutto di un lavoro che va avanti da più di cinquant’anni.
Saranno in scena fino al 12 maggio alla Sala Bartoli del Politeama Rossetti di Trieste. Non mancate questa meravigliosa opportunità!