Al Teatro Leonardo di Milano ha debuttato Smack – Bacia chi ti pare, il (divertente) primo musical originale italiano a tematica gay
C’è un filo conduttore, un sottile leitmotiv che percorre ironicamente e con apparente superficialità “Smack – Bacia chi ti pare!”, al di là dei suoi temi più evidenti. E’ la costante ricerca ed espressione della lealtà; una coerenza con cui agire verso gli amici, i genitori, verso chi ci sta facendo innamorare, verso se stessi e forse (soprattutto) nei confronti dello sguardo che il mondo ha su di noi.
Nel primo musical originale italiano a tematica gay – che ha debuttato al Teatro Leonardo di Milano – sono proprio i diversificati coming out (compresi quelli al contrario, da gay a etero, dai genitori verso i figli) a “salvare” e a risolvere le situazioni che prendono vita in una Milano contemporanea e un po’ idealizzata. Una città vorticosa e all’avanguardia, in cui però non è ancora del tutto scontato poter essere autentici; un luogo in cui, nonostante tutto, l’amore può attendere – chissà – proprio a pochi metri da noi, come un ago nel pagliaio di quel “macello” che sono Grinder & co.
Oppure in uno scantinato: quello in cui prende vita, grazie all’unione e ai sacrifici di Fil, Marti, Anto e Lu, lo “Smack”, luogo di ritrovo della comunità lgbt e piccolo tempio della spregiudicatezza e della libertà d’espressione.
Quello diretto da Manuel Renga è uno spettacolo leggero e divertentissimo, allietato da una certa dose di battute sagaci, da brani coinvolgenti e da un meccanismo narrativo che porta lo spettatore a sposare la causa di ciascun personaggio. I palesi stereotipi con cui gioca volutamente “Smack – Bacia chi ti pare” – mettendoli in discussione e arrivando quasi ad annientarli, nell’ottica di una libertà totale di amare (o di sopravvivere?), senza etichette – vanno man mano in qualche modo a cadere, riservando piacevoli sorprese.
Come nel caso di Fil (Valerio Ameli), il più “fermo” dei quattro amici/drag queen/imprenditori del locale, che scopre nuovi orizzonti mai avvistati prima, provando ad andare al di là dell’etichetta incastrante di gay/etero/bisex; come con Clara, la venale vedova proprietaria dell’immobile in cui la “promiscuità” regna padrona (interpretata da una intensa Monica Faggaini), che finisce per mostrare una lato umano insperato, con tanto di scheletri nell’armadio. Come nel caso del tutt’altro che “perfettino” Marti (interpretato da un convincente Eugenio Noseda), giovane professore di lettere che nasconde una doppia vita e profonde insicurezze, a cui suo malgrado proverà a guardare in faccia.
Istrionico il ruolo di Lu (con l’ottima interpretazione di Luca Pozzar, performer davvero completo), caotico e voluttuoso leader delle quattro “sfrante” alle pese anch’egli con un cambiamento che lo porta ad andare molto più in profondità di quanto lasci immaginare (e di quanto il personaggio stesso possa pensare riguardo a sè). Gli fanno da contrappunto le figure più “tenere” della pièce: il positivissimo Anto (un frizzante Ivan Portale), giovane emigrato da un paesino del Sud e da una cultura familiare ancora fin troppo patriarcale ed etero-centrica; Tommi (Dario Guidi, cantante con alle spalle un X Factor, che si distingue per l’interpretazione e la potenza canora), mascotte del gruppo che introduce il tristemente diffuso nodo del bullismo e della non accettazione; Clara (Chiara Anicito), sprovveduta studentessa bocconiana figlia della proprietaria, in grado di abbandonarsi senza retro-pensiero (e dare così lezioni) ad un amore tanto ingenuo quanto genuino.
A dare concretezza e ritmo a tutto lo spettacolo è sicuramente la colonna sonora inedita di Francesco Lori (musicista e vocal coach di grande esperienza), composta da 12 brani originali per nulla “scontati” a livello melodico, che mostrano un’evidente ricercatezza stilistica mentre accompagnano e integrano il racconto, contribuendo a farne un’opera in puro stile pop. Un po’ meno interessanti e convincenti i testi cantati (libretto e liriche sono di Tobia Rossi), che lasciano però intravedere qua e là guizzi di brillantezza.
Dalla sala di piazza Leonardo da Vinci si esce in definitiva piacevolmente divertiti: lo spettacolo non è forse tecnicamente ineccepibile, non lascia senza fiato a livello coreo-scenografico come i successi internazionali (di tutt’altra “dimensione”, anche produttiva) sulla cui onda dichiara di porsi (Priscilla, Kinky Boots…), ma sicuramente coinvolge, diletta e intenerisce. Sperando che nelle prossime (auspicabili) repliche riesca ad attrarre un pubblico sempre più ampio rispetto alla comunità di gay e simpatizzanti.